Benito Mussolini (3 maggio 1923). “Quanto al Matteotti, volgare mistificatore, notissimo vigliacco e pregevolissimo ruffiano, sarà bene che egli si guardi…» (Giacomo Matteotti sarà assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924).
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Parolacce di Fabrizio Roncone Corriere della sera
Avvertenza: in questo articolo troverete un mucchio di parolacce. I politici italiani sono anni che le usano, purtroppo. Un po’ il senso di onnipotenza, una certa patetica arroganza, e un po’ anche perché forse pensano che faccia fico e porti sorrisi, consenso, voti.
Siamo cresciuti con la voce delle mamme che ci dicevano: non dirle, non essere maleducato, sei una signorina e non sta bene. Ma loro, invece, niente: le sussurrano, le urlano. Ovunque. Persino in aula, a Montecitorio. Certo sempre in pubblico. E a favore di telecamera (o, come ieri Giorgia Meloni, di cellulare: scena apparecchiata dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi, of course).
Questo racconto comincia dentro gli appunti di una vita politica fa. Era l’aprile del 2006, vigilia del voto. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, parla alla platea di Confcommercio: «Ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani… per credere che ci possano essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse». I coglioni erano tutti coloro che si apprestavano a votare per il centrosinistra. Risate, applausi. Che simpaticone. Vecchio filibustiere. Perché c’è da dire che l’insulto, spesso, agli italiani piace. Pensate al tragico esito del famoso V-day dell’8 settembre 2007, a Bologna: quando Beppe Grillo comincia a inoculare nel Paese il terribile virus dell’«uno vale uno». Con un vaffa all’esperienza che, in politica, diventa un limite. E un altro vaffa alla competenza, valore superfluo. A milioni, entusiasti.
Abbiamo visto di tutto, sentito di tutto. Con pena si rovista nella memoria tirando fuori risse e abominevoli sedute parlamentari. Vincenzo Zaccheo gridò a Mauro Paissan: «Pezzo di merda e… checca!». L’onorevole (diciamo così) Martinelli del Pdl fece un gesto inequivocabile al collega Di Biagio di Futuro e libertà: «Ti faccio un culo a tarallo!». Memorabile Nino Strano (Pdl) contro Nuccio Cusumano (Udc): «Sei un cesso corroso». Poi, la sera del 29 gennaio 2014, il grillino Massimo De Rosa (querelato) si rivolge alle deputate dem della commissione Giustizia della Camera (Moretti, Campana, Giuliani, Marzano e Gribaudo) dicendo che «voi donne del Pd siete qui solo perché brave a fare i pompini…».
No, guardate: è un pozzo nero. Alessandra Mussolini abbandona un talk tv urlando «Testa di cazzo!» al giornalista Andrea Scanzi. La Santanché, su Fini, con un sofisticato ragionamento politico: «Umanamente è una merda». La Polverini, da un palco, rivolta ad alcuni giovani che la contestano: «Aho’! Che cazzo! Mica me faccio mette paura da ’na zecca come te…» (tradotto dal romanesco: Oilà! Perbacco! Non mi incute timore un comunista come te…).
Il «Vaffa»
C’è da dire che spesso agli italiani piace Pensate al tragico esito del V-day
Per Vittorio Sgarbi, sfavillante leggenda del ramo, non basterebbe una pagina intera. «Sommerso dalle denunce per diffamazione, ho capito che avrei dovuto limitarmi a gridare “capra”! Tra l’altro, incontro molti giovani che mi chiedono di farselo urlare in faccia. Non è meraviglioso?». Bossi dice a Casini: «È uno stronzo. Quel che rimane di quei farabutti democristiani». Pier Luigi Bersani attacca Mariastella Gelmini, all’epoca ministra dell’Istruzione: «Rompe proprio i coglioni». Qualche settimana dopo, a Ballarò, Massimo D’Alema s’innervosisce con Alessandro Sallusti (l’argomento era Affittopoli): «Ma vada a farsi fottere!». Mirko Tremaglia, ministro degli Italiani nel mondo, scrive: «Povera Europa. I culattoni sono in maggioranza» (anni dopo, sul tema sarebbe poi intervenuto il generale Vannacci, incantando Salvini).
A proposito. Chiamano dall’archivio del Corriere: «Abbiamo trovato un’altra roba interessante, te la mando». È il Capitano del 28 febbraio 2015, sul palco di piazza del Popolo, a Roma, dove ha radunato la Lega e i camerati di CasaPound (per l’occasione, pure lui indossa una maglietta nera): «Vaffanculo alla Fornero!». Grida di evviva, braccia tese nel saluto romano.
È un racconto lunghissimo. Tra questi volgari insulti così attuali, questa quotidiana trivialità, anche certe chicchissime invettive d’epoca. D’Annunzio si diverte a schiaffeggiare Nitti con un lumachesco «cagoia». De Gasperi attacca Togliatti definendolo «Agnello dal piede caprino». Togliatti gli avversari li chiama «Pidocchi». Sull’Unità Fortebraccio fa giornalisticamente a pezzi gli avversari definendoli «lorsignori».
Certo c’è stato un tempo in cui la forma non era sostanza. L’eloquio elegante celava comunque minacce e violenza. Sentite qui il forbito Benito Mussolini (3 maggio 1923). «Se le pecore rognose, la cui malvagia opera quotidiana contro il fascismo abbiamo avuto più volte occasione di rilevare, vanno veramente in cerca di dispiaceri, non è escluso che possano averne di molto gravi. Quanto al Matteotti, volgare mistificatore, notissimo vigliacco e pregevolissimo ruffiano, sarà bene che egli si guardi…» (Giacomo Matteotti sarà assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924).
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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