Patriarca Pizzaballa a Gaza. P. Romanelli (parroco): “Un dono e un conforto immenso”
“Un dono immenso, un conforto per chi da mesi patisce stenti e sofferenze. La Chiesa è davvero una grande famiglia dove tutti, grandi e piccoli, lavoriamo per la gloria di Cristo e la pace”. Con queste parole padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia di Gaza, situata a Gaza City, racconta al Sir la visita di circa 4 giorni, che si è chiusa ieri 19 maggio, del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, alla parrocchia. Più volte il patriarca aveva espresso il desiderio di entrare a Gaza per manifestare vicinanza e solidarietà ai cristiani gazawi. Un desiderio che si è concretizzato lo scorso 16 maggio. Si tratta della prima visita dallo scoppio della guerra del 7 ottobre 2023.
“Sua Beatitudine – dice padre Romanelli – è sempre stato molto vicino alla nostra comunità e questa sua presenza tra noi, sotto la Pentecoste, rafforzerà la nostra fede. Ieri il Patriarca ha anche amministrato il Sacramento della Confermazione a due ragazzi della parrocchia”.
L’ingresso del patriarca a Gaza ha coinciso anche con il ritorno tra i suoi fedeli di padre Romanelli che, al momento dello scoppio della guerra, era fuori dalla Striscia. Giovedì scorso, finalmente, ha potuto riabbracciarli insieme alle religiose del Verbo Incarnato (Ive) e al suo vicario padre Youssef Asaad che ha fatto sapere di voler restare a Gaza nonostante i mesi difficili trascorsi nel compound parrocchiale con circa 700 sfollati cristiani, oggi ridotti a circa 500. “Sono tornato e resterò con loro – spiega padre Gabriel -. Con noi per un certo tempo ci saranno anche il Provinciale dell’Ive, padre Carlos Ferrero, e una terza suora, anche lei argentina, del Verbo Incarnato, suor Maria “Meraviglia” di Gesù. Qui ci sono tante cose da fare e serve aiuto”. Durante la sua permanenza a Gaza il card. Pizzaballa ha incontrato la comunità cristiana sfollata, ha parlato con i fedeli, ha visitato alcune strutture parrocchiali distrutte, ha assistito ai giochi dei bambini, celebrato messe e presieduto veglie di preghiere e Rosari, benedetto un panificio restaurato grazie anche al patriarcato latino e fatto visita alla parrocchia greco-ortodossa di San Porfirio, dove ha potuto salutare l’arcivescovo di Gaza, Alexios di Tiberiade, e il parroco padre Silas Habib.
Padre Romanelli, cosa ha provato rientrando tra i fedeli della sua parrocchia e come li ha trovati?
Ho visto nei loro volti tanto dolore ma anche tanta serenità. Riporto le parole del patriarca che rendono bene questo loro stato d’animo: ‘mi stupisce la loro serenità. Non sono arrabbiati, nonostante l’enorme sofferenza provocata da questa guerra che non vuole finire’. Ho visto anche moltissime macerie. Non c’è praticamente nessun edificio che non sia stato toccato, bombardato, danneggiato o distrutto. Ci vorranno anni per ricostruire Gaza. Ma le persone hanno voglia di continuare a vivere, di riprendersi”.
Teme per il futuro dei cristiani a Gaza
La Chiesa rispetterà ogni decisione delle famiglie. C’è chi vuole andarsene e si sta preparando a farlo, chiedendo un visto per l’estero, e chi invece intende restare. Attualmente nel compound abbiamo circa 500 sfollati cristiani, inclusi una cinquantina di bambini custoditi dalle suore di Madre Teresa.
Chi resta potrà contare, come sempre, sul sostegno della Chiesa. Lavoreremo per questo.
In che modo?
Presto ricominceremo le lezioni scolastiche per i più piccoli. Non possiamo parlare di ‘scuola’ nel vero senso della parola, perché siamo in guerra e molte delle nostre strutture sono state colpite e rese inservibili. Ma stiamo lavorando per offrire questa possibilità ai nostri piccoli. Abbiamo ripreso l’oratorio all’interno della parrocchia con giochi, clown e incontri. Questo rappresenta un grandissimo segno di speranza per i più piccoli e le loro famiglie.
In questi 8 mesi circa di guerra i cristiani di Gaza hanno pagato un duro prezzo, con 36 morti e diversi feriti, ma hanno avuto modo di ‘assaporare’ anche la vicinanza materiale e spirituale di Papa Francesco…
È così! Un vero padre che tutti i giorni chiama i propri figli in difficoltà. Ogni sera alle 20 i fedeli si radunano intorno a padre Youssef in attesa di ascoltare la voce del Pontefice e di ricevere la sua benedizione. Cosa che è avvenuta anche in questi giorni. Una cosa commovente che fortifica la fede dei nostri cristiani. Ha detto molto bene suor Maria Pilar, una delle nostre suore a Gaza:
‘il Papa è uno di noi, appartiene alla nostra comunità’.
Questo per ciò che riguarda la vita all’interno della parrocchia. Per quello che ha potuto vedere in questi primi giorni, com’è la vita al di fuori?
Nel quartiere al-Zeitoun, dove siamo noi, non ci sono militari ma siamo circondati da macerie. Ci sono automobili lungo le strade crivellate di colpi. Tuttavia, le persone mostrano una incredibile capacità di sopportare la sofferenza. In questi due giorni mi ha colpito l’impegno di tanti gazawi che si danno dare fare a mantenere quel poco che è rimasto in piedi della propria abitazione, il cercare di guadagnare qualcosa per vivere vendendo ogni genere di cose, trovare un posto sicuro, un rifugio, dove dormire con la famiglia. Non dimentichiamo che ci sono ancora bombardamenti e combattimenti. Ci sono decine di migliaia di migliaia di persone che vagano per le strade senza meta.
La visita del patriarca, condotta in sinergia con l’Ordine di Malta, è servita anche a programmare i necessari aiuti umanitari per la comunità cristiana che in questi mesi si è prodigata per aiutare tante famiglie musulmane. Qual è la situazione relativa agli aiuti? Stanno arrivando anche nel nord dove si trova la parrocchia
Da quel che si vede le condizioni sembrano leggermente migliorate. È stato dato il permesso per riaprire qualche forno quindi si trova un po’ più di pane. Purtroppo, i prezzi di tanti prodotti sono altissimi e sono pochi quelli che riescono a comprarli.
Crede in un accordo per una tregua o un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi?
Sin dall’inizio della guerra stiamo pregando ogni giorno per la pace. Il cessate il fuoco è necessario ma non è la soluzione. La soluzione è la pace. Io sono convinto che il fragore e la violenza delle armi non avranno mai l’ultima parola nelle guerre, nemmeno in questa. Preghiamo incessantemente per la pace.
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