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Papa Francesco a Verona: “Un peccato grave non curare la pace”. L’abbraccio a un israeliano e a un palestinese

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Le bandiere della pace a dipingere l’arena di Verona, l’rvm del vescovo Tonino Bello che, nel 1989, scuoteva le persone che la gremivano, esortandole: “In piedi, costruttori di pace”. Le stesse parole Papa Francesco le ha pronunciate oggi, al termine dell’incontro in quel luogo che ha ospitato una nuova edizione dell’”Arena di pace”, che 35 anni fa ha toccato una vetta di impegno nei movimenti pacifisti della società civile e della Chiesa all’alba della guerra del Golfo. Oggi, il conflitto è in Medio Oriente. E l’immagine che, quest’anno, resterà nella memoria collettiva è invece l’abbraccio del Papa con Maoz Inon, israeliano, a cui Hamas ha ucciso i genitori il 7 ottobre, e Aziz Sarah, a cui la guerra ha strappato il fratello. Due imprenditori, due rappresentanti del tavolo sull’economia e sul lavoro e di due popolazioni ora in guerra tra loro, che, nonostante ciò, l’uno accanto all’altro hanno voluto condividere la loro testimonianza. Ad ascoltarli, 12.500 persone che hanno partecipato all’incontro “Giustizia e Pace si baceranno”, culmine della visita del Papa a Verona.

(Foto Vatican Media/SIR)

Un’Arena di Pace. Democrazia e diritti, migrazioni, ambiente, disarmo, lavoro ed economia: sono alcuni dei “tavoli” dell’Arena di Pace. E i loro rappresentanti hanno sottoposto loro riflessioni e domande al Pontefice, che le ha arricchite con i suoi interventi. Tra questi, proprio le parole di Maoz e Aziz: “Siamo imprenditori. Non ci può essere pace senza un’economia di pace. Un’economia che non uccide”.”“Davanti alla sofferenza di questi di fratelli, che è la sofferenza di due popoli, non si può dire nulla – ha detto il Papa -. Loro hanno avuto il coraggio di abbracciarsi che non è solo testimonianza ma anche un progetto di futuro. Entrambi hanno perso i familiari. La famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve la guerra Facciamo uno spazio di silenzio perché non si può parlare troppo. Serve sentire”. Poi, gli applausi dell’Arena gremita. Gli inteventi sono stati intervallati anche dalle testimonianze di alcune donne israeliane palestinesi. Madri, mogli, giovani e anziane, “coraggiose costruttrici di ponti”,  che hanno presentato al Papa il dolore per “le tragedie” vissute nei mesi di guerra e anche il lavoro, attraverso movimenti e organizzazioni da loro stesse fondate, “per porre fine a questo conflitto”. “Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace”, ha detto Francesco.

Parlando a braccio, poco prima, aveva aggiunto: “La pace non si inventa da un giorno all’altro, va curata. Nel mondo oggi c’è questo peccato grave: non curare la pace”.

L’incoraggiamento al perdono. Il primo appuntamento della mattina, invece, era stato l’incontro con i sacerdoti e i consacrati nella basilica di San Zeno, dove Papa Francesco ha sottolineato “una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi”, quella di “essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo”. A chi amministra il sacramento della penitenza, il Papa ha raccomandato: “Perdonate tutto. E quando la gente si viene a confessare ‘per favore, non torturate i penitenti’. E perdonare senza far soffrire. La Chiesa ha bisogno di perdono e voi siete lo strumento perdonare. A tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio. Soprattutto a chi si trova ai margini”. Al termine, all’esterno della basilica, l’incontro con bambini e ragazzi, cui ha raccomandato: “Dobbiamo essere un segno di pace”.

La speranza contro i suicidi in carcere. Prima della celebrazione conclusiva, il Papa si è fermato nel carcere veronese di Montorio, dove ha pranzato. Seguendo le cronache dell’istituto, il Francesco ha riferito di aver “appreso con dolore che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere”. “È un atto triste, questo – ha detto, incoraggiando i detenuti alla speranza -, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi”. Poi, Papa Francesco ha ricordato come “la nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi”. “Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione, e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare”.

I popoli che hanno sete di pace. Nella celebrazione eucaristica, allo stadio Bentegodi, alla presenza di 32mila fedeli, nell’ultimo appuntamento del giorno, il Papa ha dedicato l’omelia, pronunciata a braccio, allo Spirito Santo, essendo la vigilia della Pentecoste. “Oggi se io domando in tante comunità cristiane cos’è lo Spirito Santo non sapranno cosa rispondere. Lo Spirito Santo è il protagonista della nostra vita. Ci porta avanti, ci fa sviluppare la vita cristiania: è dentro di noi. Lo abbiamo ricevuto col battesimo e con la cresima ancora di più”, ha aggiunto.
Dopo aver chiesto ai presenti di ripetere assieme “lo Spirito ci cambia la vita”, il Papa ha ribadito che “ci dà coraggio per vivere la vita cristiana”. “Ci sono cristiani che sono tiepidi. Preghiamo lo Spirito che ci aiuti ad andare avanti. Lo Spirito edifica la Chiesa. Non ci fa tutti uguali, ma tutti con un solo cuore. Lo Spirito mette insieme tutti. C’è una parola che spiega bene questo: lo Spirito fa l’armonia della Chiesa. Il contrario dell’armonia è la guerra”.

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