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Stati generali natalità. De Palo: “Aiutare i giovani a realizzare in Italia i loro sogni lavorativi e familiari”

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Anche quest’anno ospite d’onore degli Stati generali della natalità, giunti alla quarta edizione, sarà Papa Francesco, nella seconda giornata dell’evento promosso il 9 e il 10 maggio a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, dalla Fondazione per la natalità. Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità, ci presenta l’edizione 2024.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Su quale aspetto vi concentrerete quest’anno?

Il tema quest’anno sono i giovani, perché vogliamo far capire che l’obiettivo degli Stati generali e del parlare di natalità non è cercare di convincere i giovani a fare figli. Vogliamo smascherare il falso pensiero che sono i giovani a non voler fare figli.

L’obiettivo degli Stati generali è mettere i giovani nelle condizioni di realizzare i loro sogni lavorativi e familiari,

creare una situazione nella quale i giovani non si sentano esclusi dalla possibilità di sognare restando nel loro Paese. Per questo il titolo della IV edizione degli Stati generali è “Esserci più giovani più futuro”, perché è determinante fare in modo che le politiche dei padri siano in armonia con quelle per i figli. La natalità s’inserisce in un discorso più ampio legato a un dialogo e a una solidarietà intergenerazionale. Se non ci sono giovani crollerà tutto e saremo un Paese senza più speranza. Quindi il tema centrale è questo: non un approccio moralista, fare figli, ma un approccio concreto per creare le premesse affinché i nostri figli abbiamo risposte in modo tale che possano mettere su famiglia se vogliono e non vadano all’estero per realizzare i loro sogni lavorativi e familiari.

Che risultato sperate di raggiungere, quindi, con la quarta edizione degli Stati generali?

Il nostro obiettivo è che gli Stati generali non siano più necessari. Assodato che è bene parlare di natalità ed è già un grande risultato “costringere” il Paese per due giorni ad affrontare questo tema, adesso dobbiamo passare dalle parole ai fatti.

Serve una riforma strutturale, servono politiche impattati.

Quest’anno abbiamo avuto meno nati, 14mila in meno, rispetto all’anno scorso. I dati parlano chiaro: se Governo, Regioni, Comuni stanno facendo veramente delle politiche impattanti per quanto riguarda la natalità il prossimo anno ci saranno dei risultati. In grande autonomia e indipendenza, noi possiamo fare da pungolo alla politica. Le mamme e i papà della nostra rete fanno sentire la loro voce e la loro preoccupazione. Questo è l’anno di non ritorno. Il rapporto “Esserci più giovani più futuro. Dai numeri alla realtà”, la prima pubblicazione realizzata dalla Fondazione per la natalità in collaborazione con Istat, presentata a fine aprile, ci mostra, infatti, che nel 2050 avremo un giovane e tre anziani. Avremo sempre più un figlio unico che si dovrà far carico non solo dei propri genitori ma anche di qualche altro anziano. Occorre invertire la rotta.

Perché dalle parole non si passa alla concretezza

Per me è un grande risultato già il far passare l’idea dalla natalità come questione solo dell’Istat alla natalità come questione economica e culturale di tutto il Paese, ogni giorno c’è un articolo su un giornale. Poi, dobbiamo anche dire che per fare politiche per la natalità impattanti bisogna togliere risorse per la spesa pubblica attuale per metterle su un capitolo di spesa i cui frutti non si vedranno nel breve periodo e quindi c’è l’idea di poter avere un ritorno elettorale minore. C’è un approccio da parte di tutti i politici – destra e sinistra -, legato più alla loro rielezione che non a passare la storia, a cambiare il sistema e il Paese. Un secondo aspetto è che diamo per scontato la famiglia in Italia. Per la natalità noi ancora le crepe sul muro non le vediamo, forse al Sud si vedono perché la denatalità sta creando spopolamento, ci sono dei paesini abbandonati e tra poco non ci sa sarà più nessuno. Al Nord e al Centro, nelle grandi città si nota di meno, perché è vero che ci sono meno bambini, ma ci sono giovani che vengono dal Sud e dalle piccole città. Ma se non vediamo le crepe sul muro continuiamo a pensare che il problema si risolva, mentre ad un certo punto verrà giù tutto, come una frana quando si tolgono gli alberi. Togli i giovani e crollerà il sistema-Paese. A me è piaciuta sempre questa metafora: Noè costruiva l’arca quando c’era il sole. Oggi è il momento di fare politiche serie. Un altro motivo, tutto italiano, è tutto ideologico. In Francia dal 1944 tutti insieme hanno introdotto il Quoziente familiare: sono passati i governi, ma è rimasto. Noi in Italia abbiamo questo panorama, in cui i partiti hanno una visione ideologica della natalità, per cui la questione viene strumentalizzata o banalizzata. C’è un approccio da tifoseria che noi tentiamo di superare dal primo anno degli Stati generali. Perché non troviamo la via italiana, che può dare anche risposte serie e concrete al tema legato alla natalità? Queste sono le mie preoccupazioni, ne aggiungo un’altra.

Prego…

Andiamo avanti a mode. È oggettivo che bisogna creare un sistema fiscale diverso rispetto all’attuale.

La fiscalità è la cartina di tornasole su dove vai a mettere le risorse di un bilancio. Non è fare regalini ad alcuni piuttosto che ad altri. La fiscalità è la cifra di dove sta andando il Paese. Se faccio pagare meno tasse a chi fa figli, sto dando un segnale politico, culturale. La mia sensazione è che invece andiamo avanti a mode e anche le soluzioni riflettono questo. Noi ci stiamo abituando ad accettare che lo Stato faccia politiche che potrebbe fare una Regione o un Comune: dallo Stato ci si aspetta una riforma seria, strutturale, mentre ogni anno viene fatto un pezzetto, congedi parentali, decontribuzione per lavoratrici con figli, asili nido, ma così non si risolve il problema. La politica non ha il coraggio di dire: non parcellizziamo le risorse e realizziamo una riforma che faccia la storia. Come ha fatto la Francia e come potevamo fare noi con l’assegno unico, che ogni anno avrebbe dovuto essere finanziato di più. Invece siamo partiti e ogni anno gli togliamo qualche soldo. E andiamo avanti a mode: come se uno facesse figli perché ci sono asili nido. Ma prima di dare asili nido, congedi parentali, fai le fondamenta: fai pagare meno tasse a coloro che hanno figli perché il tempo, le energie, le risorse anche economiche che stanno investendo per i figli sono un valore aggiunto per la collettività, perché i loro figli pagheranno la pensione non solo ai propri genitori, ma anche a chi i figli non li ha potuti o voluti avere. Ed è giusto così in un Paese che fa della solidarietà il centro. La gente non capisce che la riforma fiscale non è rivolta solo a chi i figli già ce li ha ma dà una mentalità anche ai giovani perché fa capire dove investe lo Stato. La riforma fiscale rappresenta le fondamenta, migliorare l’assegno unico che è un altro pezzo importante inserendolo nella riforma, poi si iniziano a mettere i pavimenti e quindi i servizi come gli asili nido, gli infissi e quindi il congedo parentale, s’inizia a collaborare con le amministrazioni locali, in una logica sussidiaria. Invece sprechiamo risorse pubbliche senza una regia. Ci vuole una politica credibile che sappia parlare anche con le amministrazioni locali anche quelle che non sono legate direttamente al proprio colore politico.

C’è un bene comune che è al di sopra degli interessi particolari.

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