Placebo SIGNIFICATO In medicina, preparato privo di principi attivi che viene somministrato o nella convinzione di chi lo riceve che sia una reale terapia o per misurare a confronto l’efficacia di un farmaco
Placebo
SIGNIFICATO In medicina, preparato privo di principi attivi che viene somministrato o nella convinzione di chi lo riceve che sia una reale terapia o per misurare a confronto l’efficacia di un farmaco
ETIMOLOGIA voce latina, prima persona singolare del futuro semplice del verbo placère ‘piacere’, alla lettera ‘piacerò’.
- «Ha avuto un grande effetto, ma è tutto un effetto placebo.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Non sono tante, anzi sono più uniche che rare le parole che nascono da dei futuri latini. Quella terminazione -ebo ci dice proprio questo: che si tratta di una prima persona singolare di un verbo latino al futuro semplice — in particolare, del verbo placere, che senza grandi misteri è un ‘piacere’. Ci stiamo quindi accampando in un ‘piacerò’.
Ora, ‘placebo’ è un termine della medicina, che popola i discorsi di più alta scienza, ma anche percolato in quelli più approssimativi. Se ne inizia a parlare internazionalmente nel Settecento, come di farmaco dato per far piacere, più che per curare — ma è solo di recente che ha maturato le sue fortune: in italiano è attestato negli anni ‘50.
Il placebo è un preparato privo di principi attivi. «E allora perché è stato preparato?» si domanderanno gli ingegni più acuti — e la risposta è tutt’altro che banale.
Le medicine hanno una virtù terapeutica — degli effetti fisici e chimici determinati dalle sostanze che le compongono, che si ripercuotono (in positivo e in negativo) sul corpo; ma hanno anche degli effetti psicologici, e anche questi effetti psicologici si ripercuotono sul corpo e sulla sua salute. La convinzione di star assumendo una medicina efficace, anche se in verità è acqua tiepida, può indurre un miglioramento reale. Il nucleo ideale ed etimologico è che questo pseudofarmaco… piacerà, darà la rassicurante, euforica sensazione di quando sentiamo di assumere una panacea, o almeno qualcosa di giovevole.
Questo effetto-placebo può essere ricercato direttamente — quindi in tutta sicurezza, pur nell’incertezza se la suggestione riuscirà o no a sortire un buon effetto — quando si sceglie di somministrare qualcosa che male non fa e che forse farà bene al corpo attraverso la mente. Se la persona che lo dà è tenuta in alta considerazione, se chi prende il placebo ha una sicurezza entusiasta o granitica nell’efficacia del mezzo, se la situazione in cui viene dato è suggestiva… l’effetto può essere notevole.
Anzi nella nostra comune esperienza non di rado ciò che non ha effetto farmacologico ha comunque effetti apprezzati concretamente — abbiamo rimedi della nonna che scientificamente sono risibili e che però hanno, o ci pare abbiano, un potere completo e puntuale — come quando lo zio si cura il raffreddore col rum, ma solo quello della Martinica. Ed è anche un topos narrativo celeberrimo: la pozione che dà grandi poteri, acquisiti anche se solo si crede di averla assunta (pensiamo a Ron Weasley, convinto di aver bevuto la Felix Felicis che porta una fortuna sfacciata, e che perciò domina nella partita di quidditch — e che però era stato ingannato da Harry Potter, che gli aveva solo fatto intendere di avergliela versata).
Ma il placebo può anche (e qui saliamo nelle alte sfere) essere preso come termine di paragone per misurare gli effetti di un farmaco con principi attivi. Per valutare l’efficacia terapeutica di un nuovo farmaco, questo viene somministrato a un gruppo, ma è importante che esista un gruppo di controllo, rispetto al quale, a contrasto, si staglino i risultati — desiderati e indesiderati — del nuovo farmaco.
Classicamente, al gruppo di controllo è somministrato un placebo. Qualcosa è: si lucra (e si elide dall’esperimento) l’effetto psicologico di star assumendo quella che ha tutta l’aria di essere una terapia vera — il farmaco nuovo deve provare di far meglio di così. Per evitare valutazioni spurie, nei protocolli a doppio-cieco, necessari a stabilire l’efficacia dei farmaci, né chi somministra né chi riceve sa chi è nel gruppo a cui viene somministrato il farmaco e chi è in quello a cui viene somministrato il placebo: il risultato statistico finale così è affidabile, e ha escluso tutte le interferenze psicologiche di paziente e personale sanitario.
Nel discorso corrente sarà più comune il riferimento fuor di protocollo — e quindi parleremo del placebo che diamo alla nipotina quando accusa la bua, delle stravaganti pratiche alimentari del guru che hanno solo un effetto placebo, per quanto decantato… ma anche del contrario effetto nocebo che denuncio dopo la puntura che ho dovuto fare e non volevo — il contrario del placebo, un effetto negativo che non è provocato da alcun principio attivo (‘nuocerò’). Una gran pensata.