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Myanmar. Card. Bo: “Viviamo una realtà dolorosa e ferita, una crudeltà continua”

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In Myanmar “viviamo una Via Crucis permanente, una realtà dolorosa e ferita”: non ha timore di esporsi e denunciare il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, presidente della Conferenza episcopale del Myanmar e della Federazione della Conferenza episcopale asiatica (Fabc). Da tre anni, dal 1° febbraio 2021, quando l’esercito birmano ha preso le redini del Paese rovesciando il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi, tuttora agli arresti domiciliari, l’ex Birmania è entrata in una spirale maledetta di morte, violenza e persecuzione che ha prodotto oltre 11.000 vittime, arresti arbitrari e decine di migliaia di sfollati. Nemmeno la minoranza cattolica (circa 450.000 persone) su 54 milioni di abitanti di religione buddista viene risparmiata. In questi tre anni sono state bruciate chiese e case, arrestate e minacciate migliaia di persone, costrette alla fuga e a fare la vita da sfollati, perfino il vescovo di Loikaw. L’ultimo episodio violento, a cui accenna il cardinal Bo nell’intervista, riguarda il ferimento con colpi di pistola di un sacerdote cattolico che stava celebrando la messa nella chiesa di Saint Patrick a Moe Nyin, nella diocesi di Myitkyina, nello Stato birmano del Kachin. Padre Paul Khwi Shane Aung, 40 anni, è ora ricoverato nell’ospedale locale, dove è stato sottoposto a cure d’urgenza per le gravi ferite riportate. Per la Chiesa cattolica, che agisce tramite la Caritas (chiamata Karuna) presente nelle 16 diocesi e arcidiocesi del Paese, è difficile anche portare aiuti agli sfollati, perché i militari impediscono in tutti i modi le azioni di solidarietà. Il card. Bo ricorda che c’è bisogno urgente di “cibo, medicine e alloggi, insegnanti per i bambini che vivono nei campi per sfollati e la cura delle ferite invisibili (odio, ansia, vendetta, paura)”. Ciò che più preoccupa attualmente il presidente dei vescovi birmani è la legge di coscrizione approvata dalla giunta militare il 10 febbraio 2024, che istituisce la leva obbligatoria per 14 milioni di giovani (uomini fra 18 e 35 anni, donne fra 18 e 27). Il mancato arruolamento quando richiesto dalle autorità è punibile con pene da due a cinque anni di reclusione. Il provvedimento ha scatenato il panico e migliaia di giovani, anche cattolici, stanno fuggendo dal Paese.

Foto Conferenza episcopale birmana

In che modo la Chiesa in Myanmar vive la sinodalità?
Il nostro viaggio sinodale in Myanmar riguarda la guarigione e la riconciliazione del mondo nella giustizia e nella pace. Il nostro cammino di fede è messo alla prova dall’attuale crisi politica. Stiamo dunque vivendo una nuova esperienza di esodo dentro e fuori il Paese.

Molte case e chiese vengono bruciate, e tutti noi incontriamo una crudeltà continua.

Il recente attacco al prete cattolico p. Paul Khwi Shane Aung da parte di uomini armati non identificati mostra quanto siamo vulnerabili: viviamo una Via Crucis permanente, una realtà dolorosa e ferita in diverse zone del Myanmar. È qui che abbiamo bisogno della riconciliazione con Dio, con la natura e con gli altri.  È qui che dobbiamo diventare una Chiesa in ascolto, come Gesù, degli sfollati e delle persone ferite. Conoscendo il Myanmar con i suoi vari gruppi etnici, dobbiamo continuare ad essere una Chiesa missionaria con una cultura del rispetto reciproco e di una convivenza pacifica con tutti, con una chiara azione profetica collettiva.

Nel suo messaggio pasquale ha chiesto “la fine delle lunghe notti di conflitto e di paura”. Di cosa c’è bisogno adesso, oltre alla preghiera
Accanto alla preghiera dobbiamo creare una cultura del dialogo con i civili e con i governanti della nazione. La Conferenza episcopale e i religiosi devono pianificare il rafforzamento dei civili e dei cristiani affinché affrontino i conflitti con pazienza e prudenza.

Per quanto riguarda la situazione sociale, quali sono le priorità?

Con l’annuncio della legge sulla coscrizione, la vita dei giovani è molto turbata.

La loro ansia e paura e quella dei loro genitori aumentano di giorno in giorno. Molti fuggono dal Paese. In questo momento dobbiamo accompagnare i giovani con maggiore attenzione. Allo stesso tempo l’educazione dei bambini e dei giovani diventerà sempre più importante per il futuro della nazione e delle famiglie.

In che modo la Chiesa in Myanmar educa i giovani alla pace e li aiuta ad accrescere la propria cultura e consapevolezza in questo periodo storico? Come i giovani guardano al futuro?
Da quando è iniziata la crisi, in seguito al golpe, i giovani resistono e cercano di difendere il loro diritto ad avere un vero governo democratico. In questo momento attraverso la Commissione diocesana pace e riconciliazione, la Commissione per i giovani, la Commissione per l’educazione, le Commissioni a livello parrocchiale, i programmi ecumenici di educazione e costruzione della pace, cerchiamo di organizzare la diocesi e le parrocchie per rendere i giovani cristiani consapevoli dei loro ruoli e responsabilità, per adoperarsi nella ricerca di una soluzione pacifica alle situazioni di conflitto.

Anche se la situazione attuale è desolante, i giovani sperano di raggiungere in futuro una vita pienamente democratica.

È una sfida anche per le famiglie: come stanno affrontando questo periodo, e quali sono le prospettive? Cosa sta facendo la Chiesa per sostenerle?
Con l’attuale escalation di violenza e l’introduzione della legge sulla coscrizione, le famiglie sono molto preoccupate. Come ho detto molti ragazzi sono in tensione e cercano di fuggire dal Paese. Ciò ha causato ansia e paura tra i membri delle famiglie, che cercano di gestire la situazione con una enorme capacità di resilienza. I parroci locali, il personale religioso e i catechisti provano ad ascoltare e ad essere presenti accanto alle famiglie, cercando di dare buoni consigli e di incoraggiarli ad affrontare questa grave situazione di crisi.

In che modo la Caritas assiste i poveri, i rifugiati e gli sfollati interni? Quali sono i loro bisogni urgenti?
È un momento impegnativo per il lavoro della Caritas (Karuna) a causa delle difficoltà di registrazione dovute alla

diffidenza dell’attuale governo rispetto alle opere di sostegno ai poveri, ai rifugiati e agli sfollati interni.

I programmi di assistenza per cibo, medicinali, alloggi e bisogni umanitari dei rifugiati e degli sfollati interni nelle aree di conflitto non possono essere svolti liberamente, formalmente e su vasta scala senza il controllo dei militari. Anche i programmi di assistenza nelle zone controllate subiscono molte restrizioni. In entrambi i casi la Caritas deve lavorare con prudenza. La Caritas nazionale è presente sul territorio tramite le 16 Caritas diocesane del Myanmar. Nei luoghi dove il personale e gli operatori della Caritas non possono arrivare devono fare affidamento su sacerdoti, religiosi, suore e catechisti che collaborano per raggiungere i poveri, i rifugiati e gli sfollati interni. È davvero una grande benedizione vedere la collaborazione tra Caritas e religiosi.

I bisogni urgenti sono cibo (riso e alimenti altamente nutritivi), medicine e alloggi, insegnanti

per i bambini che vivono nei campi per sfollati, e la cura delle ferite invisibili (odio, ansia, vendetta, paura).

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