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La preghiera è il bisogno più profondo per la Chiesa e per gli uomini

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Per vivere la Chiesa deve pregare: la preghiera è il suo bisogno più profondo. Il credente sa, per esperienza, che solo quando prega professa credibilmente ed efficacemente la propria fede. Sì, ogni crisi di fede e prima di tutto crisi di preghiera.
Chi non prega è debole. E se è debole dinanzi a Dio, lo sarà anche dinanzi agli uomini. La forza che si riceve pregando è il miglior modo di essere cristianamente incarnati e vincenti sul male nelle temperie secolari di ogni tempo, di questo nostro tempo.
Chi non prega è muto. E se non sa parlare a Dio, non saprà parlare con gli uomini. La sapienza che si riceve pregando è la fonte di ogni cambiamento storico, di ogni possibilità di dialogo con le culture che agitano la storia, specie nei momenti in cui lo spirito del mondo sembra avere il sopravvento sulle verità di Dio, spegnendo la fede nel cuore dei credenti.
Chi non prega è diviso, non è in pace. E se non sa stare in comunione con Dio, non potrà essere in comunione con gli altri, con tutti. L’amore che si riceve pregando è la vera rivoluzione contro l’egoismo crudele che imperversa nel cuore delle istituzioni e dell’uomo; è la sola possibilità di costruire una civiltà interumana, in cui sono risanate le ferite derivanti da tutte le violazioni della dignità umana che impediscono la pace.
Guai a pensare che la “perfezione” della nostra preghiera consista nell’efficacia delle parole pronunciate, nell’intensità con cui vengono declamate, nella lunghezza o nella brevità del discorso presentato a Dio. La preghiera è sempre e solo la nostra stessa anima davanti a Dio: niente e nessuno potrà mai giudicare ciò che è vero e giusto nell’atteggiamento interiore e nelle espressioni di un’anima che si rivolge a Dio. Ecco perché ogni “forma” di preghiera è necessaria eppur insufficiente per “esprimere l’inesprimibile Dio” e per “esprimere se stessi davanti a Dio”.

La preghiera è balbettio, è parole infantili, è singhiozzi di commozione, è gemiti inesprimibili, è sussulti di gioia, è lingua mai udita e tutte le lingue conosciute, è silenzio, è grido, è prostrazione, è genuflessione, è danza, è mani alzate, è mani giunte, è sorriso, è pianto, è corale, è solitaria, è riposo, è veglia, è sofferenza, è liberazione, è miracolo… è “sfida, coraggiosa, negoziatrice”, ci insegna Papa Francesco.

La preghiera ci svela l’uomo: portatore di gloria e non di miserie; prezioso agli occhi di Dio, anche se trascurato dagli altri uomini. Solo la preghiera non deforma l’uomo, ma lo ricrea come nel giorno della sua prima creazione. Nella preghiera è il segreto del vero umanesimo, del diritto alla vita, alla libertà, alla giustizia, alla dignità di essere “persona”.
Le fonti francescane dicono del Poverello d’Assisi: “Francesco non pregava; era divenuto preghiera”. I Padri del Deserto definivano la preghiera il “respirare al ritmo della grazia”.
La vita è sempre “il meno”; la preghiera “il più”. Se la preghiera entra nella vita, che è finita, limitata, diventa un’occupazione tra le altre, un tempo nell’arco della giornata, un’espressione del nostro essere credenti. Se, invece, la vita entra nella preghiera, allora entra nell’eternità, nei modi e nei tempi di Dio, trasforma tutto in lui e da lui tutto riceve. Dentro la preghiera c’è tutto e tutto può riversarsi fuori. Dentro la vita c’è poco e quel poco, oggi, spesso non basta neanche più a se stessi.
Il sindaco Giorgio La Pira, vero esempio di laicità cristiana in politica, scriveva:

“Bisogna lasciare, pur restandovi attaccato col fondo del nostro cuore, l’orto chiuso dell’orazione… Non basta la preghiera, non basta la vita interiore; bisogna che questa preghiera si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo”.

La preghiera come stile di vita, come vita nuova, come vita associata in fraternità condivisa. La “censura interiore” alla quale l’umanità si sta costringendo e vorrebbe costringere Dio, abbisogna di uno “sblocco”. Lo Spirito vuole liberare una potenza d’amore straordinaria contro la potenza d’inganno che è in atto nella storia. E noi siamo chiamati a collaborare vincendo la disaffezione spirituale all’intimità con Dio.
La preghiera preesiste alla nostra vita e resiste alla nostra morte. È prima e dopo la nostra stessa vita: il giorno che siamo nati qualcuno pregava per noi e ha benedetto Dio per la nostra nascita; il giorno della nostra morte qualcuno pregherà per noi e benedirà Dio per la nostra vita. In realtà, quando la vita fallisce, la preghiera rimane. La preghiera rimane ferma, immutabile, non si esaurisce, sempre disponibile, perché riserva di cielo, ingresso d’eternità.
Gli uomini e le donne della preghiera hanno un grande potere spirituale da esercitare.

Gli uomini e le donne della preghiera hanno il destino del mondo nelle mani: sono i veri “politici” al servizio della storia; hanno le chiavi dei destini della storia, come nessun potente che si sottragga allo sguardo di Dio.

Il beato Giuseppe Toniolo, primo interprete della Dottrina Sociale della Chiesa, in una sua preghiera così si rivolgeva a Dio: “Io prego ardentemente nello Spirito e vi prego insistentemente: io non voglio più resistere perché voi non resistiate a me, bensì mi diate un’abbondante grazia: sottraetemi alle insidie, alla superbia; fate il mio cuore simile al vostro, vi chiedo la grazia di un’umiltà sincera, profonda, costante che possa informare il mio sentire, che governi le mie azioni, che si traduca nella mia vita interiore ed esteriore, che io possa correre lietamente le vie dei comandamenti, in una sola parola: amarvi”.

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