La guerra in Europa
“L’Ucraina ti entra nel sangue”. Me l’ha scritto una collega che in quel grande Paese dell’Europa orientale c’è stata più di una volta. Le avevo detto che a me era entrata nel cuore e nella mente. Ma forse ha proprio ragione lei: ti entra nel sangue, nelle vene. È quello che vivo ancora in questo momento, mentre mi accingo a queste note sul viaggio della scorsa settimana, quando mi sono recato con Valerio Navarra e Andrea Casadei, per tenere vivo il gemellaggio tra le Caritas di Cesenatico e quella di Leopoli.
Una grande città, di stampo europeo, è alle prese con la guerra. Lì si vive, o meglio, si cerca di andare avanti come se il conflitto non fosse in atto. Dopo i primi mesi, la gente cerca di abituarsi alla nuova condizione. È terribile da dirsi, ma diventa una necessità per sopravvivere e per cercare di guardare al futuro. Il presente, invece, è carico di incognite e di dolori. Le incertezze riguardano il futuro più prossimo. Che ne sarà della pace possibile? Ci sono margini per trattative? Che succederà alle generazioni di giovani sbattuti al fronte? Non ci saranno solo i mutilati nel corpo, ma anche nello spirito, come da più parti ci è stato confermato nei nostri incontri. Gli interrogativi rimangono aperti. Al momento è difficilissimo riuscire a intravedere risposte praticabili. Gli uomini dai 25 anni in su rimasti a casa, per motivi di lavoro o di studio, sono in allerta per una possibile chiamata alle armi. Già questo fatto genera ansia e timori diffusi nelle famiglie che faticano nell’andare avanti. In più ci sono le popolazioni più a est da aiutare, quelle più coinvolte in modo diretto nei combattimenti. E i poveri di sempre, che la Chiesa ucraina non vuole dimenticare. La sensazione, comunque, è quella di una vita sospesa tra la speranza di una fine imminente e il desiderio di non mollare di fronte al nemico più potente. Tra la voglia di normalità e le notizie di morti in prima linea.
La guerra a Leopoli non si vede, ma si respira. È quella che ti entra dentro e ti inquieta i pensieri e anche i sonni. Pare impossibile che possa accadere nel nostro continente. Invece è la realtà che ci è stata sbattuta in faccia, una volta messo piede oltre il confine polacco.
Se papa Francesco invoca di continuo la pace, magari chiedendo qualche sacrificio di parte, qualche motivo ci dovrà pur essere. Sì, perché la guerra è il fatto peggiore che può accadere. Se dobbiamo batterci, battiamoci per una pace giusta.
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