Le riforme di Marta Cartabia e Carlo Nordio vanno nella stessa direzione. Ed è una direzione che in alcuni punti combacia con le leggi sognate da Silvio Berlusconi e ideate da Licio Gelli. Il risultato è una giustizia classista, a due velocità, che tutela i potenti. Garantita anche grazie a un sistema di controllo sulla magistratura. È questa l’analisi che Nino Di Matteo fa dell’attuale situazione politico-giudiziaria nel nostro Paese. “Potrei darvi cinque punti di convergenza tra queste riforme e quelle contenute nel Piano di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli“, ha detto il sostituto procuratore della Procura nazionale antimafia, intervenendo al Festival internazionale dell’Antimafia “L’Impegno di tutti” organizzato dall’associazione Wikimafia a Milano.

Il magistrato, già componente del Consiglio superiore, ha passato in rassegna rapidamente le norme recentemente approvate dai governi di Mario Draghi e Giorgia Meloni e quelle attualmente in discussione in Parlamento. “Riforme costituzionali, separazione delle carriere, attenuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, limitazione dell’utilizzo d’intercettazinoi telefoniche e ambientaliabrogazione dell’abuso d’ufficio, modifica del reato di traffico d’influenze. E poi: divieto per i magistrati di parlare con la stampa. E non mi riferisco ovviamente agli atti coperti da segreto – ovviamente – ma a quelli ormai pubblici. Come se Falcone e Borsellino, di cui tutti si riempiono la bocca, non avessero parlato della configurazione di Cosa nostra che veniva fuori dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, prima della sentenza sul Maxiprocesso“, ha spiegato il pm, riferendosi al bavaglio alle fonti giudiziarie varato dalla ministra Cartabia, approfittando della direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza. “E aggiungo – ha proseguito Di Matteo – il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, divieto di pubblicazione delle intercettazioni se riguardano terzi, e adesso i test psicoattitudinali dei magistrati, che facevano già parte del Piano di rinascita democratica di Gelli“.

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Quindi l’ex pm di Palermo ha spiegato come dal suo punto di vista “le riforme di Marta Cartabia e Carlo Nordio vadano nella stessa direzione, tranne poche significative sfumature di differenza. Queste riforme affondano le loro radici in un passato parecchio lontano e sembrano realizzare la riforma della giustizia auspicata dal primo governo di Silvio Berlusconi. Ma nel 1994 non riuscirono ad approvarla: all’epoca queste riforme non passavano, oggi le stanno approvando tutte, poco alla volta”. Il risultato finale, dunque, oggi quale è? Di Matteo delinea uno scenario composto da due binari paralleli: “Da una parte si sta creando un sistema di controllo della magistratura e dei magistrati che il potere considera inaffidabili, non perchè siano scarsi o non preparati, ma perchè sono indipendenti”. In questo senso insistere sui test psicoattitudinali equivale ad “associare la figura del giudice a quella di una persona con problemi mentali”. Parallalelamente, ha poi proseguito il pm, “si sta creando un sistema della giustizia a due velocità, una giustizia classista: queste norme creano uno scudo di protezione dei potenti. Perché indeboliscono il controllo di legalità della magistratura riguardo alle manifestazioni criminali tipiche dei colletti bianchi”. Come fossero le tessere di uno stesso puzzle, le riforme varate negli ultimi tre anni porteranno a comporre un quadro allarmante: una giustizia feroce con le persone comuni, praticamente assente quando invece occorre perseguire i crimini di chi detiene il potere. Il tutto grazie a una mosaico di norme che imbrigliano chi la giustizia la amministra, cioè la magistratura.