Regno Unito. Con le nuove norme su salario e ingressi è sempre più difficile per gli italiani lavorare: la ristorazione tra i settori più colpiti
“Sono disperato e non so proprio come farò. Con questa ultima stretta, avviata ai primi di aprile dal governo britannico di Rishi Sunak, che apre le porte del Regno Unito soltanto a chi potrà contare su uno stipendio annuo di almeno 38.700 sterline (oltre 45.000 euro) il mio lavoro diventa impossibile”. Ad affermarlo è Enzo Oliveri, un famoso chef italiano, proprietario di un noto ristorante nel cuore di Londra e presidente della Federazione italiani cuochi del Regno Unito. Oliveri non fatica a raccontare come la Brexit e le nuove regole introdotte agli inizi di aprile stiano distruggendo la ristorazione italiana, da sempre fiore all’occhiello della capitale britannica. “Alberghi e ristoranti italiani – spiega ancora Oliveri – chiudono tutti i giorni. È impossibile far arrivare qui camerieri e cuochi italiani e non possiamo operare in queste condizioni. Il livello di conoscenza di lingua inglese richiesto è troppo alto, ma anche i costi per garantire visto e assunzione sono diventati impossibili. Sono costretto a chiudere i miei ristoranti alcuni giorni alla settimana per poter far riposare i miei dipendenti perché non posso assumerne altri”.
Dello stesso avviso anche padre Andrea Fulco, parroco della “Saint Peter Church”, la bellissima basilica nella City modellata su quella di san Crisogono a Roma, fondata a Londra nel 1845 da san Vincenzo Pallotti, da sempre punto di riferimento degli italiani in arrivo nella capitale inglese.
“Molti italiani, tanti giovani, impiegati nel settore finanziario – afferma il religioso – dopo la Brexit sono tornati in Italia, o perché la banca o la ditta per le quali lavoravano aveva deciso di chiudere la propria filiale a Londra o perché non sono riusciti ad ottenere il permesso di rimanere, il ‘settled status’, necessario dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue”. “Le nuove norme appena introdotte – prosegue padre Andrea – hanno dato il colpo di grazia alla migrazione italiana verso la capitale britannica. Da circa tre anni infatti, non arrivano più quei giovani che, fino all’introduzione della Brexit, lavoravano nella City come camerieri o lavapiatti per poi studiare all’università. Oggi si viene soltanto per studiare o lavorare con un visto molto specifico. Penso che il governo abbia voluto chiudere le frontiere perché, per anni, gli europei, che erano equiparati ai cittadini britannici, hanno approfittato dei sussidi e delle indennità di disoccupazione. Forse paghiamo gli eccessi del passato, tuttavia credo che l’approccio di oggi danneggi seriamente l’economia britannica. Oggi, a Londra, manca la manodopera e, anche se non abbiamo statistiche precise, è assolutamente certo che molti ristoranti e alberghi italiani hanno chiuso. Sembra incredibile se solo pensiamo che tanti nostri connazionali hanno portato l’Italia a Londra”.
Fonti dell’ambasciata a Londra spiegano che la migrazione italiana è un fenomeno molto complesso. “Dal 2021, in seguito all’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, seppur sia diventato più difficile, per camerieri e cuochi provenienti dall’estero Italia compresa, entrare nel Paese, la presenza degli italiani risulta comunque cospicua”, dicono le fonti dell’ambasciata, “Il dato è reale e dimostra che in Gran Bretagna sono arrivati e continueranno ad arrivare dall’Italia persone con un alto livello di formazione, anche subito dopo avere ottenuto la laurea. Insomma chi ha dei buoni titoli non ha avuto né avrà difficoltà ad entrare nel Regno Unito. Non trascuriamo poi il fatto che a beneficiare di un più alto livello di stipendio saranno anche tanti italiani che lavorano già qui”.
Non è dello stesso parere l’avvocatessa Gabriella Bettiga, direttrice dello studio londinese “MGBeLegal” cui, in cerca di assistenza, si sono rivolti i tanti nostri connazionali che al momento fanno fatica a conciliare la vita con le nuove regole sulla migrazione. A suo avviso, anche per italiani qualificati, come ad esempio ricercatori e manager del settore della finanza, giunti in Gran Bretagna dopo l’avvento della Brexit, il mercato si è ristretto. “Il nuovo sistema a punti introdotto tre anni fa – spiega Bettiga – prevede che chi desidera entrare nel Regno Unito debba avere, oltre che un contratto di lavoro, un datore di lavoro che lo sponsorizzi, cioè che abbia fatto domanda per ottenere la licenza di assumere stranieri. Questo ha di fatto ridotto il numero di titolari di aziende pronti ad assumere, perché la trafila burocratica per ottenere il permesso di impiegare stranieri è divenuta molto complicata oltre che costosa”.
Secondo il Consolato italiano di Londra, in questo momento ci sono circa 530mila italiani iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) ma, considerando anche i non registrati, gli italiani nel Regno Unito superano le 700mila unità. Nonostante la Brexit, infatti, “dal 2021 – fanno sapere fonti interne al Consolato – ogni anno circa 20mila nostri connazionali si sono iscritti all’Aire. Tutto questo per dire che dal punto di vista degli italiani registrati ufficialmente in Gran Bretagna non sembra essersi registrato un calo. Non sono pochi gli italiani che pur abitando qui da anni non si erano mai iscritti all’Aire”. Una scelta legata forse alla possibilità di mantenere la residenza in Italia e questo al fine di poter usufruire della sanità pubblica. Ecco, negli ultimi tempi molti di questi si sono affrettati a regolarizzare la loro posizione, o per paura di perdere i loro diritti, dopo la Brexit, o per non incorrere nelle nuove sanzioni di diverse migliaia di euro introdotte verso chi non si iscrive.
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