S.Maria C.Vetere. Duplice omicidio Caterino-De Falco: tre condanne eccellenti, un’assoluzione eclatante
Il duplice delitto in progetto dagli anni ’90: Caterino avrebbe intrapreso estorsioni autonome incassando per sé, pur stipendiato dal clan dei casalesi.
Tre condanne a un intero nucleo familiare composto da tre persone e una clamorosa assoluzione, quella di Corrado De Luca (ex braccio destro del boss e poi pentito Antonio Iovine), per il quale era stato chiesto l’ergastolo.
Termina così l’ultima tranche di una inchiesta di camorra sul duplice omicidio di Sebastiano Caterino e Antonio De Falco, nipote della compagna del primo, commesso a Santa Maria Capua Vetere nell’ottobre di ventuno anni fa nei pressi del ponte ferroviario dell’«Alifana».
La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ha condannato i componenti della famiglia sammaritana Moronese, ovvero Sandro, Agostino e Raffaelina Nespoli a 28 anni ciascuno, su una richiesta di trenta avanzata per ognuno di loro dal pm antimafia Simona Belluccio.
Per il luogotenente di Iovine, l’accusa aveva anche chiesto l’isolamento per un anno ma la Corte presieduta dal magistrato Roberto Donatiello non ha ritenuto fondata la richiesta, assolvendo De Luca.
Le motivazione saranno rese note tra novanta giorni ma la decisione potrebbe essere legata a qualche collaboratore inattendibile: in ogni caso non si è raggiunta la prova per condannare l’imputato.
Negli anni sono stati già condannati diversi imputati in processi celebrati in passato con rito abbreviato. Fu il tribunale della camorra a condannaere a morte Sebastiano Caterino e il nipote acquisito su decisione di Antonio Iovine, Michele Zagaria, Giuseppe Caterino, Francesco Schiavone detto «Cicciariello», già stati giudicati con rito abbreviato con Giuseppe Misso, Nicola Panaro, Bruno Lanza, Enrico Martinelli, Claudio e Giuseppe Virgilio.
In questo processo la famiglia Moronese fu accusata di avere dato la logistica agli assassini fornendo l’abitazione ai sicari dietro io compenso di un televisore molto costoso all’epoca e 5000 euro.
L’omicidio si inquadra in una faida tra esponenti del clan dei Casalesi di cui Caterino faceva parte. Sebastiano Caterino, originario di San Cipriano d’Aversa era un pregiudicato di 48 anni ma da alcuni anni aveva scelto Santa Maria come residenza. Umberto De Falco, napoletano di 32 anni trapiantato a Santa Maria Capua Vetere era il nipote della compagna di Caterino. De Falco morì all’ospedale di Caserta dopo alcune ore dall’agguato.
Entrambi le vittime si trovavano a bordo di una Wolkswagen Golf di colore nero. I sicari, a bordo di due Alfa Romeo, esplosero almeno una cinquantina di colpi di kalashnikov e di fucile a canne mozze all’indirizzo della Golf trucidando Caterino e ferendo gravemente De Falco. Caterino, detto l’«Everaiuolo» aveva vari precedenti per droga, estorsione e associazione camorristica. All’epoca aveva diversi processi a suo carico pendenti davanti al tribunale e figurava imputato anche nel maxi-processo alla camorra casalese Spartacus che si stava celebrando davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere oltre in un processo per estorsioni commesse a Modena.
L’omicidio di Sebastiano Caterino era stato deciso da tempo, posto che era un nemico dell’associazione sin dagli anni 1990: l’omicidio era stato già deciso nel 1992, quando, dopo la scissione all’interno del clan dei casalesi, l’associazione per delinquere di tipo mafioso aveva deciso di schierarsi contro di lui. Il delitto poi non era stato portato a termine, perché Caterino era stato ristretto fino a maggio del 2002.
Francesco Schiavone Cicciriello, stava cercando di riunire il clan coinvolgendo anche Caterino, che iniziò a ricevere la somma di euro tremila euro al mese intraprendendo autonomamente la commissione di estorsioni nel territorio controllato dall’associazione, la quale decideva a questo punto nuovamente di ucciderlo. Nel processo sono stati impegnati gli avvocati Giuseppe Stellato, Paolo Raimondo, Marco Oliveti e Domenico Della Gatta.
Pm Dda,7 anni e mezzo per imprenditori figli vittima camorra
L’accusa: “Da loro un finto impegno antimafia, sono collusi”.
Il sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Fabrizio Vanorio ha chiesto una pena di 7 anni e mezzo per i fratelli Antonio e Nicola Diana, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto ritenuti vicini alla fazione del clan dei Casalesi guidata dal boss Michele Zagaria.
In passato i due fratelli, che hanno un importante azienda di riciclo della plastica, si erano costruiti una fama di imprenditori antimafia, anche perché figli di Mario Diana, vittima innocente della criminalità organizzata.
Una “patente” di legalità fermamente respinta dal pm della Dda durante la requisitoria tenuta davanti al collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Per Vanorio, “i fratelli Diana sono degli imprenditori collusi con la camorra, rientrano nel cerchio magico di Zagaria e si sono nascosti dietro al finto impegno antimafia per essere credibili agli occhi della giustizia. Anche le denunce degli attentati erano finte”.
Per Vanorio, i Diana, detti “i repezzati”, si “sono sempre interfacciati in modo attento con la camorra, e con le loro società, mediante il cambio assegni, il clan poteva eludere i sistemi antiriciclaggio e pagare gli stipendi agli affiliati”.
Secondo il pm anticamorra, dunque, i fratelli Diana sarebbero sempre stati dalla parte del clan, con il quale avrebbero stretto un patto criminale che avrebbe loro permesso di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione imprenditoriale privilegiata.
Ad accusare i due fratelli, che si sono sempre difesi definendosi imprenditori taglieggiati dalla camorra, numerosi collaboratori di giustizia con un passato da stretti collaboratori di Michele Zagaria, come Attilio Pellegrino, Massimiliano Caterino e l’imprenditore Francesco Zagaria.
I fratelli Diana hanno denunciato diversi attentati intimidatori che avrebbero subito dal clan, come dei proiettili esplosi verso gli uffici amministrativi dell’azienda o il furto di alcuni camion.
Ora il pm Vanorio, oltre a chiedere la condanna dei fratelli, ha chiesto sentenza di non luogo a procedere, per morte del reo, nei confronti di Armando Diana, zio di Antonio e Nicola.