Servizio sanitario nazionale. Viglietti (Comitato Settimane sociali): “Un bene da preservare e una grande responsabilità”
Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) “è in crisi e fortemente sottofinanziato”; “il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato”. E ancora: “La spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute”. Per questo, in Italia, “la vera emergenza è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil), ed è urgente e indispensabile, perché un Ssn che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale”. Questo l’appello – articolato attorno a 10 interrogativi – lanciato nei giorni scorsi da quattordici personalità del mondo della scienza e della ricerca a difesa del Servizio sanitario nazionale. Delle questioni sollevate abbiamo parlato con il dottor Mario Viglietti, medico di medicina generale e membro del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia.
“Il nostro – ricorda – è un servizio sanitario che è un unicum mondiale ed è ovviamente un bene da preservare contro qualsiasi pretesa che viene avanzata da un sistema privato crescente”.
Il Ssn, sottolinea subito anche in qualità di operatore,
“è un grande dono ma è anche una grande responsabilità, perché implica il senso di partecipazione della cosa pubblica, il senso di comunità e, dunque, di responsabilità”.
Viglietti individua come principale criticità il fatto che “la gestione della cosa pubblica è data attraverso una nomina politica, che in alcuni casi può risultare essere virtuosa e in altri casi no”. Diversi sono gli esempi nei quali “non necessariamente si tiene conto di competenze o meriti”. Ma – ammonisce “la sanità è un bene da tutelare a prescindere da quello che è il governo pro-tempore;
la salute delle persone è un bene primario e andrebbe gestito da chi ne ha competenze”.
Questo, osserva, “il privato lo sa fare; evitando gli sprechi riesce ad offrire servizi migliori e risulta essere più performante per il paziente contribuendo alla drastica riduzione delle liste d’attesa”. “Ma – prosegue nel ragionamento – bisogna cercare un giusto equilibrio per evitare di drenare troppe risorse pubbliche verso il sistema privato”. Di fronte a questa situazione, sostiene Viglietti,
“è necessario un grande senso di responsabilità a tutela del Servizio sanitario nazionale” che chiama in causa tutti: politica, dirigenza, operatori sanitari e cittadini/utenti. Invece, rileva, “non c’è una cultura, né politica né sociale, orientata al bene comune. In molti pensano che la sanità pubblica sia un rubinetto al quale poter attingere in continuazione”.
Sistemi sanitari mutualistici, come il Bismarck in Germania, o quelli assicurativi privati, come negli Stati Uniti o in Africa, “considerato da un lato il livello della disoccupazione e dall’altro quello di redditi poco elevati, in Italia non garantirebbero le cure necessarie a tutta la popolazione”. “Francamente – afferma – ancora inorridisco pensando a quanto ho visto in Ghana dove si assiste a bambini che muoiono fuori gli ospedali perché le famiglie non possono pagare la prestazione o non viene portato il cedolino dell’assicurazione”. Verso il nostro Servizio sanitario “c’è un clima di sfiducia generale, dovuto al fatto che – spiega – le risorse mancano ma manca anche l’ideale”. E se per un verso “è capitato anche a me di essere vessato non solo verbalmente ma anche fisicamente dai pazienti”, dall’altro “il personale sanitario deve scegliere se credere o meno nell’attuale Servizio sanitario nazionale. Purtroppo la soddisfazione della sola professione non è sufficiente a ripagare il carico di lavoro richiesto. Forse, se venissero aumentati i compensi, che sono abbondantemente inferiori alla media europea e dei Paesi più sviluppati, anche i medici ci crederebbero un pochino di più”. Viglietti insiste poi sull’importanza che ha “la volontà di responsabilità, partecipazione e, dunque, di protagonismo della nostra società.
Anche dall’utenza deve partire la richiesta che si evitino gli sprechi, aspetto sul quale, ovviamente, la gestione deve essere più oculata”.
Per il medico
“il Ssn è veramente un bene impagabile e, certo, sarebbe una grande sconfitta se questo Paese demolisse una delle cose migliori che può vantare e che non ha nessun eguale al mondo”.
Questo però non toglie che, ribadisce, “vadano fatte necessariamente delle scelte un pochino più audaci e più severe nella gestione per ridurre i tanti sprechi; bisognerebbe chiedersi, per esempio, se il trattamento previsto – a parità di efficacia – è quello che mi fa sprecare di meno?”.
Viglietti si dice preoccupato per l’impatto dell’autonomia differenziata in sanità: “Andrà a danneggiare quelle che sono le Regioni già sfavorite – evidenzia –, dove nonostante ci sia un personale sanitario a tutti i livelli e in tutti gli ambiti di estremo valore e capacità, il servizio offerto è inevitabilmente limitato da deficit strutturali e strumentali”.
“L’autonomia differenziata – continua – tenderà a far aumentare il divario già in essere tra Regioni. Questo farà sì che, soprattutto al Sud, sempre meno pazienti si cureranno nella propria Regione, ma sceglieranno di andare altrove dove gli sarà garantito un servizio migliore. Alla lunga, questo potrà determinare anche un esodo del personale perché – nonostante il legame con il proprio territorio e la volontà di spendersi per la propria terra – diventeranno più attrattive quelle Regioni che saranno in grado di pagare il personale sanitario molto meglio di altre”.
Il tema della salute, ricorda in conclusione Viglietti, sarà uno di quelli affrontati nelle “Piazze della democrazia” che si terranno a Trieste, durante i lavori della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia (3-7 luglio 2024). Significativo, sottolinea, il titolo “Curare i diritti di tutti”, scelto “proprio per rimarcare l’importanza di tutelare il nostro Servizio sanitario nazionale, per far sì che ogni persona riceva le cure migliori, quindi quelle più efficaci, a prescindere dal proprio ceto di appartenenza e dalla propria condizione sociale”. “La verità – chiosa – è che
invece di abbandonare il nostro Servizio dovremmo fare in modo che si estendesse a sempre più Paesi nel mondo”.
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