Caporalato Armani: “Gli operai cinesi pagati 2 euro l’ora” MILANO – Commissariata una società del gruppo, accusata di omessa vigilanza sui subappalti: “Prassi collaudata”. Trovato il “registro del nero”
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Caporalato Armani: “Gli operai cinesi pagati 2 euro l’ora”
MILANO – Commissariata una società del gruppo, accusata di omessa vigilanza sui subappalti: “Prassi collaudata”. Trovato il “registro del nero”
6 APRILE 2024
“Quel che emerge è che alla Giorgio Armani Operations (GA) Spa vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale. Una cultura radicata all’interno della struttura che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti”. E ancora: “Una prassi così collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”.
Questi i passaggi decisivi con i quali la Procura di Milano ha ottenuto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale l’amministrazione giudiziaria per un anno del braccio industriale del gruppo Giorgio Armani con un capitale sociale di 24 milioni. Alla base della decisione la contestazione di un acclarato sfruttamento del lavoro (caporalato), che la GA Operations non ha impedito. Secondo gli inquirenti, la società partecipata al 100% dal gruppo Armani è “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. Tanto che i carabinieri durante un controllo in un opificio hanno trovato un ispettore della Giorgio Armani Operations intento a fare i controlli qualità. Le vittime sono decine di lavoratori cinesi impiegati in quattro opifici riconducibili a ditte sempre cinesi, costretti a lavorare oltre 14 ore a meno di 2 euro all’ora o a cottimo a 1 euro per una borsa confezionata, venduta all’appaltatore a 90 euro e che poi in negozio con il marchio Armani arrivava a 1.800 euro. Il sistema fotografato dall’inchiesta è molto semplice: la Giorgio Armani Operations esternalizza al 100% la produzione appoggiandosi a due ditte: la Manifatture Lombarde Srl e la Minoronzoni Srl. Le due società in realtà non hanno capacità produttiva e quindi subappaltano a imprese cinesi. In sostanza le Srl italiane forniscono solo i modelli da riprodurre. In questo caso si tratta di borse e cinture con marchio Armani. La ricostruzione degli illeciti, per i pm, torna indietro di sette anni. Gli accessi presso gli opifici da parte dei carabinieri hanno rilevato: assenza di dispositivi di sicurezza sulle attrezzature; assenza di formazione lavoro e visite mediche; la presenza nei luoghi di aree adibite a dormitorio e mensa che “consentono un utilizzo di forza lavoro h24”. “Mentre – scrive il Tribunale – la conferma che l’attività di produzione dichiarata è stata sottostimata è data dalla rilevazione degli assorbimenti elettrici che attestano l’innalzamento del livello di consumo tra le 6.45 e le 21.00 anche in giorni festivi. Il dato dei consumi inoltre conforta anche l’attendibilità delle dichiarazioni acquisite da una dipendente e conferma i dati del ‘registro nero’ rinvenuto in azienda circa le ore effettivamente svolte dall’organico dipendenti”. Di più: “Dalle dichiarazioni degli operai sono emerse paghe anche di 2/3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.
Di tutto questo, per l’accusa, era consapevole l’appaltatore, mentre il committente, e cioè la Giorgio Armani Operations Spa non risulta abbia mantenuto serrati controlli, visto che l’unico audit fatto è del 2020 e dove tra l’altro non è segnalato un dato decisivo: l’assenza di capacità produttiva della Manifatture Lombarde. Un operaio racconta: “Mi trovavo presso la Minoronzoni quando venne un’impiegata e ci fece nascondere, io e altri 4 imprenditori cinesi, in un angolo dell’ufficio a luci spente e chiuso da un separé, perché quel giorno si presentarono agenti del controllo qualità di un marchio importante”. Conclude la Procura: “A nulla valgono i codici etici, i modelli di controllo, le certificazioni di sostenibilità quando, per il raggiungimento del maggior profitto al più basso costo, si consente la creazione di un sistema produttivo che si basa su una produzione con forza lavoro in condizione di sfruttamento”. Il gruppo Armani ieri ha spiegato: “La GA Operations collaborerà con gli organi competenti per chiarire la propria posizione”.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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