IL PENTIMENTO DI SANDOKAN VISTO DALLA CITTA’, DAL SINDACO, DALLA GENTE COMUNE, DAI TESTI OCULARI –
Pezzo 6
«Il miracolo di don Diana» Casale si scopre più libera
Increduli, sorpresi ma soddisfatti i commenti nelle strade del paese
LA COMUNITÀ di Tina Cioffo
La notizia si è diffusa velocemente, rimbalzata di chat in chat prima ancora che le vie del paese prendessero vita. Increduli, sorpresi ed infine soddisfatti, è così che i casalesi hanno accolto l’inizio della collaborazione con la giustizia di Francesco Schiavone alias Sandokan, dopo essere stato il capo indiscusso del clan dei Casalesi e dopo aver trascorso gli ultimi 26 anni in carcere. E’ stato, per tutta la mattinata, un rincorrersi di commenti ma anche di domande per tentare di capire se l’informazione fosse attendibile o se fosse solo uno scherzo. «Tutto vero»”, hanno detto i primi avventori dei bar in piazza Villa e in piazza Mercato, le due e principali del paese. «È venerdì santo, sarà una Pasqua di vera resurrezione», il commento di una donna sull’uscio di una panetteria lungo Corso Umberto I. «È il miracolo di don Peppe Diana», di rimando un uomo e sua moglie con in mano le buste della spesa piene di uova di cioccolato per i loro nipoti. «Se ripensiamo agli anni del terrore che abbiamo vissuto con i morti ammazzati per strada per colpa dei camorristi, ora siamo felici che i nostri nipoti possano sperare di vivere normalmente», hanno continuato tenendosi per mano. E chi immaginava che Casal di Principe avrebbe avuto una reazione di indifferenza o peggio di chiusura, si sbagliava. La giornata, al di là del clamore creato dai tanti giornalisti arrivati in paese per realizzare servizi e interviste, è scivolata liscia. Come se nulla fosse realmente accaduto, i bambini hanno continuato a giocare e fuori ai bar i ragazzi parlavano del più e del meno. Certo, la gente è sbigottita ma non è intimorita. La notizia del pentimento di Schiavone è arrivata a distanza di pochi giorni dalle tante manifestazioni cittadine in ricordo del parroco ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994, quando sindaco era Renato Natale, lo stesso di oggi.
IL SINDACO
«È come se si fosse conclusa un’era e sono contento ma ha sottolineato Natale – ora spero che si possa davvero far luce su un periodo oscuro della nostra storia. La collaborazione di Francesco Schiavone, deve aiutarci anche ad illuminare quegli angoli nascosti che potrebbero rappresentare un pericolo in agguato per il futuro della mia gente». «Dovrà anche parlare dei rifiuti interrati e di tutti quei legami che la camorra ha avuto con la politica locale e nazionale e grazie ai quali ha continuato a proliferare», ha aggiunto il sindaco che nel ’94 venne sfiduciato dalla sua stessa amministrazione per volere del clan dei Casalesi ed in particolare proprio di Schiavone-Sandokan. Il riscatto del popolo è partito da diversi anni ma il pentimento dell’ex capoclan è come se avesse messo un sugello. «Dovrebbe prima di tutto chiedere scusa specie ai mille imprenditori che per paura hanno deciso di pagare il racket o di lasciare il paese pur di non denunciare. Il coraggio a loro è mancato per colpa della violenza di quest’uomo e dei suoi affiliati», ha rincarato Augusto di Meo, testimone oculare dell’omicidio di don Giuseppe Diana. Con Di Meo anche Marisa Diana, sorella del prete. «Mi auguro – ha confessato – che la sua collaborazione possa davvero aiutare a far giustizia, specie per i tanti i familiari di vittime innocenti che ancora aspettano di sapere perché e chi ha ucciso i loro cari». «Nei primi anni 80 a Casal di Principe scorreva letteralmente il sangue per strada, oggi Casal di Principe è una città profondamente rinnovata soprattutto nell’animo dei cittadini che, comunque vada, non intendono più rivivere l’orrore di quegli anni» il ricordo di Pasquale Corvino della Nco, acronimo di Nuova Cucina Organizzata che ha sede in un bene confiscato al clan dei Casalesi. «È la conferma di quanto abbiamo sempre detto e per quanto ci siamo sempre battuti: la camorra può essere sconfitta e anche i camorristi possono essere vinti», ha detto Salvatore Cuoci coordinatore del Comitato intitolato al prete casalese. Per Gianluca Natale, presidente di CasaleLab, «la collaborazione di Schiavone è importante soprattutto per noi giovani che riacquistiamo fiducia e continuiamo ad essere sentinelle del nostro futuro che non è più buio». Per il referente di Libera Campania, Mariano di Palma che il 19 marzo scorso ha marciato per le vie di Casal di Principe: «Lo strumento del pentimento, quando reale, è un fatto assai importante, soprattutto ai fini giudiziari e di contrasto alla camorra, perché è grazie ai pentiti che possiamo scoprire fatti che altrimenti non sarebbero mai venuti a galla»
Ieri all’ansa la sorella di don Diana ha detto che gli schiavone tramite alcuni chiamarono per dire che non erano stati loro a uccidere il prete
Pezzo 7
Il grido delle famiglie: «Da Schiavone la verità giustizia per le vittime»
Il fratello dello studente Della Corte: «Ci auguriamo di avere spiegazioni»
I COLD CASE
Tina Cioffo
«Ora parli, riveli i segreti e ci aiuti. Vogliamo la verità». È la dolorosa richiesta che alcuni familiari delle vittime innocenti della camorra, hanno deciso di indirizzare a Francesco Schiavone alias Sandokan ex capoclan dei Casalesi e neo collaboratore di giustizia.
«Aspettiamo che si faccia chiarezza da troppi anni senza mai arrenderci e ora se Schiavone è davvero pentito per tutto il male che lui ed i suoi affiliati hanno commesso, deve dimostrarlo svelando nomi e fatti che ci hanno causato dolore e sofferenza», dicono Arturo Della Corte fratello di Adriano ucciso il 15 luglio del 1984 a Castel Volturno da un commando dei clan dei Casalesi, che aveva scambiato la sua auto per quella del vero bersaglio e Laura Cirillo figlia di Tammaro ucciso il 2 luglio del 1980.
Era un operario nel cantiere Sled di Villa Literno, la ditta che si occupava del disinquinamento del Golfo di Napoli e che la camorra avrebbe voluto controllare attraverso il sistema di subappalti che sarebbero stati dati a ditte “amiche”.
LE STORIE
Due cold case che dopo 40 anni potrebbero finalmente essere risolti grazie alle dichiarazioni di Schiavone che in quegli anni spadroneggiava sul territorio con armi, violenza e soldati affiliati. “Perché? Chi?”, sono le domande che i parenti delle vittime innocenti ripetono in continuazione, nel tentativo di farsene una ragione. «Mia mamma ha vissuto senza veder in carcere chi uccise mio fratello, ora mi auguro che tutto possa essere spiegato», dice Arturo.
Adriano era uno studente di 18 anni e il primo a rivelare che fu ammazzato per uno scambio di persona fu poco prima di morire Carmine Schiavone, cugino di Schiavone- Sandokan. Poche e frammentarie notizie che non permisero di imbastire un processo e così la morte innocente di Adriano ha continuato a restare nel buio. Così come accaduto a tanti altri delitti avvenuti negli anni ’90 e per i quali in assenza di prove e di pentiti che ne parlassero, ci sono state solo archiviazioni. Uccisi dalla violenza della criminalità organizzata, per uno scambio di persona, per un colpo vagante o perché non si erano piegati alle volontà dei camorristi.
Ognuno di loro ha una storia che non si è interrotta con la morte e che ancora coinvolge figli, sorelle, fratelli, genitori rimasti a difenderne la memoria e l’onorabilità. Al centro c’è il dolore che forse disturba, perché inchioda alle responsabilità e al dovere di dare delle risposte in grado di recuperare il valore umano di chi è morto da innocente.
Della Corte era in auto, una Fiat Uno di colore nero che aveva comprato due mesi prima grazie ad una vincita al Totocalcio e con due amici si stavano dirigendo per una passeggiata domenicale sul litorale quando un’auto si affiancò alla loro sparando contro il ragazzo alla guida e dileguandosi subito dopo. Adriano venne colpito al volto, morì all’istante.
«Non capiamo perché ci sia toccato in sorte questo destino ma continuiamo a sperare che si possa arrivare ad una conclusione che sia degna di essere chiamata tale», commenta Laura Cirillo.
Tammaro Cirillo, voleva che gli operai potessero lavorare in condizioni di sicurezza, che avessero diritto a mangiare in un luogo adeguato e non in mezzo alla polvere delle costruzioni, che potessero ricevere il pagamento delle ore di straordinario e che fossero regolarizzati. Insomma, chiedeva che ci fossero delle regole in una realtà, quella campana del 1980, in cui la camorra gestiva la maggior parte degli appalti pubblici e dirigeva i più grandi cantieri della regione.
Tammaro, teneva a cuore il destino della propria terra ed era stato eletto delegato sindacale della Cgil pronto a dar battaglia a chiunque avesse voluto rubare il lavoro ai lavoratori onesti. I camorristi non avevano però intenzione di rinunciare ai soldi facili e lo uccisero. I sicari entrarono in casa sua e gli spararono sotto gli occhi terrorizzati della figlia Laura, allora quindicenne. Dopo una lunga agonia, morì il 25 luglio, a 38 anni. Le dichiarazioni di Schiavone, potrebbero ora dare la giusta sterzata.
IL CARABINIERE
Fu uno dei delitti più “simbolici” del periodo in cui il clan dei Casalesi dominava incontrastato su parte del territorio del Casertano: l’omicidio di Salvatore Nuvoletta, carabiniere di 20 anni ucciso a Marano, in provincia di Napoli, il 2 luglio 1982. La decisione di Francesco Schiavone di collaborare con la giustizia potrebbe ora aprire nuovi scenari proprio per ricostruire nella sua interezza quel delitto. O quantomeno ci spera Gennaro Nuvoletta, fratello di Salvatore. «Ora ci aspettiamo di sapere chi furono i mandanti della morte di mio fratello», ha detto Gennaro. Per l’omicidio è stato condannato un solo esecutore materiale, Antonio Abbate, mentre altri due erano già morti quando sopraggiunse la sentenza. I killer erano del clan Lubrano di Pignataro Maggiore, imparentato con il potente clan Nuvoletta di Marano (solo omonimo con la famiglia del carabiniere), affiliato a Cosa Nostra. Alla cosca maranese si erano rivolti i Casalesi, che volevano la loro vendetta dopo l’uccisione nel corso di un conflitto a fuoco con i carabinieri dell’esponente del clan Mario Schiavone detto “Menelik”, cugino di Sandokan e autista di fiducia di Antonio Bardellino, ad inizio degli anni ’80 capo indiscusso della camorra casertana. Quando arrivarono i sicari a Marano, dove Nuvoletta viveva, e fecero fuoco contro di lui, il carabiniere salvò dai colpi esplosi anche un bimbo, Bruno D’Aria, e per questo motivo ha ricevuto la Medaglia d’oro al valor civile; qualche anno fa inoltre fu posta una lapide che lo ricorda nel Parco Don Diana a Casal di Principe
Pezzo 8
Cuoci: mai smesso di lottare e denunciare Solino: sta cercando di trarre vantaggi
ZINZI: «È IL FRUTTO DI UN GRANDE LAVORO DELLO STATO» SANTILLO: «QUALE RETE IMPRENDITORIALE NE HA BENEFICIATO?»
GLI INTERVENTI
Alessandra Tommasino
Dalla politica all’associazionismo, ieri, per tutta la giornata, si sono susseguiti numerosi gli interventi sulla scelta di Francesco Schiavone. «Un segnale positivo nella lotta alla criminalità organizzata, l’auspicio è che questo pentimento – dice Mariano Di Palma, referente regionale di Libera Campania – sia utile a far luce sui legami del clan con politici e imprenditori». «Una buona notizia ma ora è importante che riveli i segreti, i protagonisti e le cause che hanno condannato la popolazione della “Terra dei Fuochi” a vivere in un territorio martoriato da rifiuti illegali e da cemento criminale», scrive Legambiente Campania.
La notizia ha innescato una serie di riflessioni nel mondo delle associazioni impegnate da anni nel contrasto della criminalità organizzata nella provincia di Caserta. «Questa è la conferma di quanto abbiamo sempre detto: la camorra può essere sconfitta e anche i camorristi possono essere vinti – commenta il coordinatore del Comitato don Peppe Diana Salvatore Cuoci – in questi ultimi trenta anni non abbiamo mai smesso di sperare, di lottare, di denunciare il malaffare, convinti che si potevano costruire comunità libere e alternative alle mafie, grazie alla forza ispiratrice di don Peppe Diana». Per Gianni Solino, da anni impegnato in associazioni antimafia, «è chiaro che la parola “pentimento” è solo un abuso terminologico e che Schiavone sta cercando di trarre delle utilità in cambio di pezzi di verità che in termini effettivi di lotta alla camorra sono abbastanza ininfluenti. L’augurio aggiunge Solino è che chiarisca anche il ruolo di quegli imprenditori e politici collusi che non hanno mai pagato». «Toccherà al magistrato che lo ascolterà valutare l’attendibilità di Schiavone ma resta che le collaborazioni di giustizia in questi anni hanno aperto squarci su verità che, altrimenti, sarebbero rimaste nascoste», dice Luigi Ferrucci, imprenditore di Castel Volturno, presidente nazionale della Federazione nazionale antiracket.
LA CITTÀ
A Casal di Principe, la notizia è stata accolta come il segno dei tempi che cambiano. «È stato abbattuto un muro e a vincere è stata la resistenza corale, la collaborazione di Francesco Schiavone è di fatti un ridimensionamento concreto della criminalità organizzata», sostiene Enzo Abate, presidente della cooperativa “La forza del silenzio” che ha sede proprio nella villetta confiscata alla famiglia Schiavone. «Spero che la collaborazione di Schiavone dice Pasquale Corvino della Nco (Nuova cucina organizzata) – serva soprattutto a concludere una storia e ad iniziarne una completamente nuova, basata sulla fiducia, la condivisione e una nuova narrazione». «È importante che le istituzioni e la società civile, soprattutto noi giovani, continuino ad essere sentinelle del proprio territorio affinché -commenta il presidente dell’associazione “Casale Lab” Gianluca Natale – possa emergere la verità sul nostro passato più buio».
A commentare la notizia i parlamentari casertani. «La decisione di Francesco Schiavone di collaborare con la giustizia è il frutto di un grande lavoro che lo Stato sta portando avanti, dimostrando che la sua presenza sul territorio è forte, più di qualunque altra cosa», scrive il deputato della Lega Gianpiero Zinzi. «Di quale classe politica si è servito? Quale rete imprenditoriale ha beneficiato del potere e dei soldi del clan dei Casalesi? Esiste ancora qualcuno che continua a beneficiare di una base marcia di estrazione mafiosa» sono i quesiti in attesa di risposta per il vicepresidente del Gruppo M5S alla camera dei deputati Agostino Santillo. Sul “pentimento” si è espressa anche Marilena Natale, autrice di un libro sulla storia di Francesco Schiavone: «Se immaginiamo una bilancia e da un lato mettiamo il sangue innocente sparso, i tanti bambini morti con il tumore a causa degli sversamenti illegali e quello che lui potrà dire, la bilancia pende sicuramente dal primo lato
La sorella di don Peppe «Sveli i particolari sugli omicidi irrisolti»
DESIDERIAMO ROMPERE CON IL PASSATO È NECESSARIO ALLONTANARE LA RABBIA
Pezzo 9
Don Giuseppe Diana fu ucciso perché non si era voltato dall’altra parte, perché nelle sue omelie incoraggiava la denuncia. Il 19 marzo si è celebrato il trentennale della sua morte e per le vie di Casal di Principe, tanti sono stati i giovani e i cittadini che hanno marciato per la legalità continuando ad alimentare il percorso di riscatto cominciato quando non era facile parlare a voce alta degli interessi della camorra. Un tempo in cui i camorristi si sentivano i padroni della vita e della morte di chiunque intralciasse i loro piani di potere. Oggi le cose sono cambiate e oggi forse Don Diana, avrebbe festeggiato la collaborazione con la giustizia di Francesco Schiavone chiedendo a tutti di fare di più. Un testimone di coraggio che è stato raccolto da sua sorella Marisa insieme al fratello Emilio.
Marisa, come avete appreso la notizia della collaborazione con la giustizia di Schiavone?
«Un po’ come tutti, è rimbalzata sui social e sulle chat amiche prima ancora che uscissimo di casa. Non nascondo che ci ha sopresi, non ce lo aspettavamo ma in tanti a Casal di Principe desideriamo rompere finalmente con il passato».
Ha avuto modo di farsene un’idea, come valuta la sua decisone?
«Ci sono persone che non hanno valore e né coscienza e per questo neppure meriterebbero la nostra attenzione ma dinanzi al pentimento di Francesco Schiavone abbiamo il dovere di fermarci e mettere in fila i pensieri».
Quali pensieri?
«Certo è necessario allontanare la rabbia che pure sarebbe legittima perché i camorristi ci hanno privato della serenità non solo uccidendo persone senza alcuna colpa ma anche privando i noi e i nostri figli di vivere la vita con normalità».
Schiavone ha deciso di rompere con il passato, crede che la decisione arrivi in ritardo?
«Quel che non sarebbe mai dovuto arrivare è la violenza della camorra. Anche loro, come noi, hanno figli, fratelli e nipoti che vivono nelle nostre terre e che pagano per i loro errori e per i danni fatti alle persone e al territorio. Il pentimento di Francesco Schiavone è sicuramente un po’ tardivo ma è comunque importante Se Schiavone ha deciso di aiutare a far luce su fatti e misfatti che hanno seminato dolore e sofferenza come se non ci fosse un domani, allora dobbiamo porci in ascolto e augurarci che la collaborazione dia i suoi frutti».
Si riferisce a qualcosa in particolare?
«Penso ai familiari delle vittime innocenti che non hanno ancora una verità e che aspettano da anni che qualcuno riveli i motivi, i mandanti ed i responsabili degli omicidi che hanno cambiato per sempre le loro esistenze. Lo ha detto anche don Luigi Ciotti il 19 marzo a Casal di Principe e lo ha ripetuto il 21 marzo a Roma, non è possibile che per molti morti senza colpa non si sia fatta giustizia. Se Schiavone è davvero pentito parli e aiuti a far luce sui tanti omicidi irrisolti.
Non furono gli Schiavone ad ordinare l’omicidio don Diana, eppure la sua famiglia non ha mai mancato di condannarli.
«Hanno più volte affermato la loro estraneità nell’omicidio di mio fratello. Fu Nunzio De Falco (altro boss di Casal di Principe contro cui il clan Schiavone, insieme ai Bidognetti, combattè una sanguinosa faida tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei ’90 per affermare il dominio sul territorio) a volere la morte di don Peppe ma mai avremmo potuto salvarli. Con le loro azioni hanno seminato distruzione».
Pezzo 10
Il super-testimone: «Ora chieda scusa agli imprenditori»
QUESTO È IL SEGNO CHE NON ABBIAMO MAI SBAGLIATO A SCEGLIERE DI VOLER STARE DALLA PARTE GIUSTA
ti.ci.
Augusto di Meo, testimone oculare dell’omicidio di don Giuseppe Diana che il 19 marzo del 1994 fu ucciso nella chiesa San Nicola di Bari mentre si apprestava a celebrare la messa, 30 anni fa ha squarciato il manto dell’omertà e subito dopo l’omicidio del prete andò in caserma a denunciare quello che aveva visto. Ha reso l’impossibile possibile e da anni lotta continuando a denunciare ogni cosa o persona che non rispetti la legalità. A lungo ha sperato che la camorra potesse essere abbattuta e la notizia della collaborazione con la giustizia di Francesco Schiavone, è per lui “il segno che non abbiamo mai sbagliato a scegliere dalla parte giusta”.
Di Meo, cosa può significare questa collaborazione per Casal di Principe?
«Tanto e non solo per Casal di Principe. Francesco Schiavone era il capo del clan dei Casalesi che aveva interessi su larga parte del territorio nazionale. Non dimentichiamoci che fu il clan guidato proprio da Schiavone- Sandokan a gestire il traffico di rifiuti dal nord Italia nelle nostre terre. E non trascuriamo il fatto che la camorra casalese non avrebbe avuto tanto spazio d’azione se non avesse avuto coperture dalle istituzioni. Il pentimento di Schiavone farà tremare palazzi che vanno ben oltre il confine casalese».
Crede che le dichiarazioni di Francesco Schiavone, possano finalmente chiarire ogni cosa
«Sarà necessario verificare ogni singola parola o riferimento e sono convinto che gli inquirenti siano ben coscienti del valore della verità così come dell’enorme danno che potrebbe fare una qualsiasi dichiarazione orientata per lanciare messaggi. La risposta la potremo sapere solo aspettando che i magistrati completino il loro lavoro. Certo noi attendiamo come se stessimo sui carboni ardenti»
Avverte l’urgenza
«Come me, tutte le persone perbene che hanno sempre scelto di stare dalla parte giusta. La prima cosa che dovrebbe fare Schiavone è chiedere scusa agli imprenditori che per paura hanno scelto di pagare le estorsioni o di andare via dal nostro territorio privandolo dello sviluppo e della normalità. Gli imprenditori non hanno avuto il coraggio ma i camorristi non avevano alcun diritto di impadronirsi dell’esistenza di queste persone».
Crede che le dichiarazioni di Francesco Schiavone, possano finalmente chiarire ogni cosa
«Sarà necessario verificare ogni singola parola o riferimento e sono convinto che gli inquirenti siano ben coscienti del valore della verità così come dell’enorme danno che potrebbe fare una qualsiasi dichiarazione orientata per lanciare messaggi. La risposta la potremo sapere solo aspettando che i magistrati completino il loro lavoro. Certo noi attendiamo come se stessimo sui carboni ardenti».
Lei, 30 anni fa non ebbe alcuna esitazione.
«Vero ma anche io ho pagato il mio prezzo e rifarei la stessa scelta. Vivo ora una condizione privilegiata perché mi sento libero di parlare ed agire. La stessa condizione che sono certo avranno molti altri, da questo momento in poi. Per chi invece ha delle colpe, è giunta l’ora di pagare».
A chi pensa
«A coloro che hanno continuato a fare il bello e cattivo tempo, sentendosi al sicuro nel silenzio del capo dei Casalesi. La forza della parola invece, vince»
Pezzo 11
Il sindaco: «Deve dire tutto sulle coperture politiche»
IL PRIMO CITTADINO FU ELETTO NEL ’93 MA LA SUA CARICA DURÒ MENO DI UN ANNO PERCHÉ LA CAMORRA ORDINÒ LA SUA SFIDUCIA
Sabato 30 Marzo 2024
«È come se si fosse conclusa un’era e sono contento ma ora spero che si possa davvero far luce su un periodo oscuro della nostra storia», è così che il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale ha commentato la notizia della collaborazione con la giustizia di Francesco Schiavone alias Sandokan.
«Con le sue dichiarazioni- ha continuato – deve aiutarci ad illuminare quegli angoli nascosti che potrebbero rappresentare un pericolo in agguato per il futuro della mia gente».
Il riferimento del sindaco va sia agli ipotetici progetti di ricostituzione del clan dei Casalesi e sia alla possibile infiltrazione della camorra nelle prossime elezioni comunali. Già in altre occasioni la camorra si è servita della politica, o viceversa, per poter guidare il Comune. Natale, al suo secondo mandato amministrativo non potrà ricandidarsi ma molto sta lavorando per assicurare una continuità alle azioni politiche cominciate incoraggiando la sua maggioranza ad essere compatta (articolo a pagina 32) pur tenendo sempre alta la guardia.
Con il pentimento di Schiavone-Sandokan a prescindere dalle ragioni che sottendono la decisone dell’ex capo clan dei Casalesi, «quel che ci aspettiamo- ha detto Natale – è che si faccia chiarezza su molte cose: dagli omicidi irrisolti di altre vittime innocenti che aspettano di poter spegnere le loro lacrime ai traffici di rifiuti che per decenni hanno inquinato i nostri terreni. Già alla fine degli anni ’80 denunciavamo gli sversamenti che avvenivano e quindi Schiavone potrà sicuramente raccontare dove li hanno messi e soprattutto grazie a chi».
«Ci aspettiamo anche di capire quali coperture hanno garantito la sopravvivenza del clan per così tanto tempo, perché alla favoletta che la camorra abbia agito da sola senza avere appoggi nazionali chiaramente non ci crediamo più. Le responsabilità dovranno essere rese note per garantire credibilità alla giustizia», denuncia il sindaco che ha sempre scelto la via più diretta per manifestare i suoi pensieri.
«E non si tratta solo di riportare indietro le lancette di 30 anni ma anche di capire oggi quali altri virus infettanti possiamo evitare», ha chiarito Natale che fu eletto primo cittadino per la prima volta nel 93.
LO SCENARIO
La sua carica durò meno di un anno perché la camorra e proprio la famiglia Schiavone ordinò la sua sfiducia, spingendo tre consiglieri a passare nelle fila dell’opposizione così da privarlo del numero legale per poter andare avanti.
Casal di Principe era allora il paese dei Bidognetti e degli Schiavone, due delle cinque famiglie del clan dei Casalesi gettarono letame davanti casa sua, chiaro avvertimento che doveva intimorirlo ma così non fu.
I camorristi volevano ucciderlo facendolo investire poi decisero di ucciderlo solo politicamente senza far conto che però sarebbe tornato. Rieletto nel 2014 è stato protagonista del riscatto di Casal di Principe, suggellato dalla visita del Capo dello Stato Sergio Mattarella il 21 marzo dello scorso anno e il pentimento di Sandokan rappresenta un po’ la chiusura di un cerchio.
«Non so – ha concluso – se sarà così, perché ci sono altri boss che non si sono ancora pentiti, ma di certo le dichiarazioni di Schiavone potrebbero essere utili»
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)