Fusa Le parole della musica fù-sa
SIGNIFICATO Suono sommesso e vibrante prodotto dal gatto quando è sereno e appagato; nella notazione musicale dei secoli passati, figura che inizialmente corrispondeva alla croma; nei secoli successivi lo stesso termine ha poi rappresentato durate via via sempre più piccole
ETIMOLOGIA nel caso del gatto, da fusa, plurale di fuso. Per l’accezione musicale, forse dal latino fùndere, versare, spargere.
- «Le fusa di Fuffi sono irresistibili!»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Ci sono fusa e fusa. In entrambi i casi ci si riferisce a un suono. Al plurale, le fusa equivalgono al lieve e prolungato rullìo emesso dai felini soddisfatti. Lo producono quando ricevono deliziose grattatine da un umano al quale si concedono con magnanimità, ma anche in altre circostanze. È un modo di comunicare che spesso, come dimostra la pet therapy, gratifica anche l’uomo. Nel caso del micio, il risultato fonico è assimilabile al rumore leggero di un fuso che gira, ovvero al suono dell’utensile per la filatura a mano, in latino fūsus o fūsum.
In pratica, però, le fusa feline hanno poco a che vedere con una piccola figura della notazione musicale: la fusa, al singolare. Il termine forse è connesso col latino fūsum, participio passato di fùndere ‘versare; sciogliere; diffondere’, da cui il verbo italiano ‘fondere’ (ma anche confondere, infondere, diffondere) e il participio ‘fuso’ o ‘fusa’, quasi a descrivere una nota che si scioglie in tante altre più piccole.
Nel suo Trimerone del 1599, Ercole Bottrigari spiegò che era «detta fusea dalla figura simile ad un fuso; et croma dal colore, e negrezza» (all’epoca croma e fusa erano sinonimi). Aggiunse che fu chiamata anche corsea «dalla sua gran velocitade» e che aveva un uncino alla sommità dell’asta della nota:
Proprio per la presenza di questo caratteristico uncino, in francese crochée ‘gancio’, la croma si chiama croche in francese, crotchet nell’inglese britannico e corchea in spagnolo.
La fusa però era nata prima. Nel Trecento era infatti avvenuta una vera e propria innovazione nella notazione musicale. Negli splendidi codici preziosamente miniati vennero introdotte prima la minima, poi la semiminima e, nel Quattrocento, si aggiunsero la fusa e la semifusa, simili per aspetto e significato alla croma e alla semicroma odierne.
Ma la macchina del tempo ci porta ora nel Cinquecento, quando cominciava l’epoca dei virtuosi, strumentisti o cantanti, che ‘diminuivano’ con fioriture, scalette e gorgheggi, sempre più veloci. Il numero degli uncini alle aste delle note aumentò.
Croma e semicroma si emanciparono e non furono più sinonimi di fusa e semifusa. Mantennero saldamente la loro posizione, mentre le altre due ‘slittarono’ a rappresentare valori ancora più veloci. Erano passati solo ottanta anni dal Trimerone di Bottrigari, quando Lorenzo Penna attribuì alla fusa un valore pari a un quarto della croma.
Le fusées di Rousseau hanno invece tre uncini e sono volatine, ascendenti o discendenti, che uniscono due suoni tra loro distanti:
Beethoven usò fuse con cinque stanghette, del valore di 1/128. Significa che, se Ludwig in quella battuta avesse scritto solamente fuse, ne sarebbero servite la bellezza di centoventotto per completarla e addirittura duecentocinquantasei nel caso delle semifuse! Una vera corsa ad alta velocità, tutto l’opposto delle rilassanti fusa del micione domestico.
A proposito, godiamoci la famosa Fuga del gatto di Domenico Scarlatti. Una leggenda ottocentesca sostiene che il compositore avesse tratto il soggetto di questa fuga dall’incedere del suo felino sulla tastiera del cembalo. Anche se non è vero, la storia piacque a tal punto che vennero rappresentati ovunque gatti sui tasti bianchi e neri del pianoforte, perfino nei cartoni Disney.