Domenica delle Palme a Gaza. Suor Saleh: “Aggrappati a Gesù Risorto”
“Abbiamo partecipato alla processione delle Palme e alla Messa celebrata da padre Youssef Asaad, vicario patriarcale. Ci è stata data una parola di speranza e di pace e abbiamo tutti pregato perché il prossimo anno si possa trascorrere una Pasqua senza guerra. Dobbiamo restare saldi nella fede perché è l’unica cosa che abbiamo”: suor Nabila Saleh, dell’Istituto delle suore del Rosario di Gerusalemme, racconta al Sir la Domenica delle Palme dei circa 600 sfollati cristiani che vivono oramai da quasi sei mesi dentro la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza.
Una processione in circolo dentro il piazzale antistante la chiesa e un canto prolungato di Osanna ha segnato questo inizio di Settimana Santa per i fedeli sotto le bombe e di nuovo circondati dall’esercito di Israele che è tornato a combattere intorno all’ospedale di al-Shifa, nel nord di Gaza, non distante da al Zeitoun, il quartiere di Gaza City dove si trova la parrocchia. I riti del Triduo pasquale, dal Giovedì Santo alla Veglia di Pasqua, saranno celebrati tutti nel pomeriggio “per motivi di sicurezza” spiega la religiosa e “per permettere ai cristiani della parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio di unirsi alla preghiera”. “Preghiamo costantemente per la pace e per un accordo che permetta agli ostaggi israeliani di tornare sani e salvi a casa. Questa è la condizione per un cessate il fuoco che tutta la popolazione civile di Gaza desidera”.
Non è un gioco. “Da fuori – continua suor Nabila con voce rotta dall’emozione – non potete capire cosa sta realmente avvenendo qui. Gaza praticamente è stata rasa al suolo per interi quartieri, la guerra è brutta – ripete – la guerra è brutta. Ciò che stiamo vivendo non è un gioco e qui ci chiediamo se e quando sarà ricostruita Gaza. Quale sarà il futuro di questa terra. Ci vorranno anni per rivedere un po’ di luce”. “Eravamo in tanti a pensare queste cose quando agitavamo le Palme in processione. A consolarci i sorrisi dei più piccoli, dei bambini, per i quali chiediamo un futuro di pace. Da parte nostra non possiamo fare altro che aggrapparci alla fede in Gesù Risorto”.
Nella parrocchia il cibo scarseggia, si riesce a cucinare una o due volte a settimana, “acquistare da mangiare è proibitivo”, spiega suor Nabila, “perché i prezzi sono altissimi. A soffrirne di più sono sempre i poveri che non hanno nulla e non possono comprare niente. Abbiamo bisogno di tutto. Gli aiuti qui al Nord non arrivano e se arrivano bisogna avere coraggio di andarli a prendere. Le persone vanno a recuperare gli aiuti alimentari armati di coltelli e sono pronti ad uccidere per portare via un sacco di farina. Non c’è giustizia nella distribuzione dei viveri e i più deboli non prendono nulla. È in atto una guerra tra poveri. Conosco padri di famiglia che, quando escono per andare a procacciare del cibo, salutano i loro figli e mogli perché sanno che non potrebbero fare rientro. Dov’è la giustizia in tutto questo?”. “Ai potenti della terra, a chi combatte questa guerra chiedo: cosa fareste voi al posto di questi padri di famiglia per dare da mangiare ai vostri figli, per dare loro una vita migliore? È giusto quello che state facendo? Fermate le armi!”.
Suor Saleh lo ripete senza sosta: “Da sei mesi oramai viviamo un Calvario continuo, ma siamo sicuri che tutto questo finirà. Dio è il vero Signore della storia e non gli uomini. Continueremo a pregare e a chiedere a Gesù di mettere parole e gesti di pace nel cuore dei potenti che si combattono. Crediamo che Gaza risorgerà nella pace e nella concordia. Il mondo ascolti il nostro grido e a Pasqua preghi per la pace!”.
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