Giornata memoria vittime Covid. Mons. Beschi: “La Chiesa è il luogo in cui l’angoscia può trasformarsi in nuova vita”
“La Chiesa deve essere la casa in cui il dolore può riposare, dove l’uomo possa serenamente consegnare la propria sofferenza. È necessario che sia così. Molti portano ancora dentro il cuore, come fosse una tomba, lo strazio che hanno provato in quei momenti, ma non può essere così per sempre. Ecco perché la Chiesa deve davvero essere il luogo in cui l’angoscia dell’uomo può essere depositata, perché possa abbandonare la forza distruttrice che ha dentro di sé per trasformarsi in qualcosa capace di generare una nuova vita, una vita migliore”. L’immagine che il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, consegna nel quarto anniversario del ricordo delle vittime del Covid non è quella dei carri dell’Esercito che la sera del 18 marzo 2020 lasciarono la città con il loro carico di bare, ma è quella di un sentimento più intimo. Lo affida soprattutto ai familiari delle vittime.
Cosa le viene in mente di quei giorni?
“Nella cerimonia al Cimitero monumentale è stata evocata da tutti l’immagine dei camion militari carichi di bare, un’immagine che fatto il giro del mondo in pochi minuti, ma il mio ricordo è invece legato al ritorno delle ceneri delle vittime, anche di quei feretri. Era l’8 aprile e quella volta erano i furgoni dei Carabinieri a riportare al Cimitero non 73 bare, ma centinaia di urne. Ai miei occhi fu un’immagine chiarissima di ciò che aveva rappresentato quell’uragano devastante nelle famiglie travolte dal virus, nelle singole persone che componevamo quelle famiglie. Il pensiero era certamente per i morti che affidavamo al Signore, molti dei quali era come fossero scomparsi nel nulla, ma poi c’era il sentimento di vicinanza a chi era sopravvissuto, a chi era ancora vivo in quei momenti di intensa paura per tutti, quando tutte le restrizioni erano ancora in vigore. Chi era stato attraversato dal dolore era come avvolto da una tragedia senza fine. Ecco, quelle urne dicevano tutto questo sgomento, ed è proprio questa la prima immagine che mi ritorna ed è quella che maggiormente mi porto nel cuore”.
Durante il Covid, lei ha scelto di stare vicino a tutti i bergamaschi in un modo molto particolare, recitando settimanalmente un Rosario in uno dei tanti luoghi mariani di Bergamo e provincia. Un’iniziativa che raccolse un consenso davvero unanime. Come nacque quell’idea
“Per la verità è stato un sacerdote a suggerirmi l’idea. Cercavo un modo con cui esprimere una vicinanza, la vicinanza del vescovo, a tutta la comunità, ma – si mi è consentito, e lo dico con trepidazione – anche la vicinanza di Dio al suo popolo, che pure ha bisogno di segni che la esprimano. Così ho cominciato questo viaggio nei vari luoghi mariani della diocesi, da nord a sud, da est a ovest. Ricordo le strade deserte che percorrevo da solo, per arrivare in posti dov’era presente pochissima gente. E qui devo ringraziare Bergamo Tv e il sito web de L’Eco di Bergamo che trasmettendo in diretta quei Rosari mi ha consentito di raggiungere davvero tutti, perché la restituzione che ho avuto di quei momenti è stata davvero corale. Tutti si sono sentiti avvicinati e anch’io, che all’inizio ero sconcertato, quasi impaurito, mi sono sentito avvolgere da una forza spirituale interiore che credo il Signore mi abbia donato per evitare che potessi tirarmi indietro. Il Papa dice che i vescovi e i preti devono stare davanti al popolo per trascinare tutti, devono stare dietro al popolo, per non dimenticare nessuno, e devono stare in mezzo per tenerlo unito. A me piace molto stare in mezzo, ma in quel momento ho capito che dovevo stare davanti”.
* Direttore de L’Eco di Bergamo
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