Un po’ troppe elezioni…
Un bel guaio un’elezione regionale ogni mese: sia per i cittadini, sia per i partiti, sia per il Paese: l’eterna campagna elettorale è proprio una realtà. Basti pensare che, oltre alle imminenti europee, alle amministrative comunali con le più scombinate scadenze, alle politiche molto più frequenti che quinquennali, le regionali – queste sì quasi sempre quinquennali – sono spalmate a loro volta in date le più diverse. 4 sono state nel 2019 (e quindi capitano quest’anno: dopo Sardegna e Abruzzo, toccherà alla Basilicata il 21-22 aprile, al Piemonte in giugno e all’Umbria in autunno…); 8 sono state nel 2020 (ma in mesi diversi…); 2 nel 2021; 1 nel 2022; 4 nel 2023! E sarebbe comunque difficile se non impossibile ormai tentare di unificare in un election day tutte queste date. Fatto sta che i partiti sono chiamati continuamente a confrontarsi e i loro leader si allenano nelle campagne elettorali girovagando per il Paese, alternando soddisfazioni a delusioni; mentre l’attività legislativa langue e i problemi della nazione attendono soluzioni. A dire il vero, sarebbe ora opportuno attendere lo spareggio in Basilicata, prima di parlare dei risultati dell’ultima tornata abruzzese, ma tant’è: sono comunque due partite interessanti quelle appena giocate in una grande isola e in una piccola regione di centro-Italia. Del resto, tanti ne hanno parlato come di un paradigma fondamentale, nazionalizzandone al massimo il valore per guadagnare chissà quale vantaggio sugli avversari, pur sapendo bene che i livelli differenti – comunale, regionale, politico ed europeo – prevedono comportamenti differenti nell’elettorato, diverse formule di voto, pesi, parametri, stimoli e conseguenze indubbiamente diversi, per cui vale ben poco paragonarli. Sì, si può cercare di intuire qualche tendenza, che però muta come il mutare del clima, del vento, appunto, così a sproposito evocato da chi vorrebbe sempre averlo a favore delle proprie vele. Una costante purtroppo si deve constatare, comunque, nel prosieguo delle tornate, di qualsiasi livello, purtroppo: il calo delle percentuali dei votanti che nei due casi recenti hanno a malapena superato il 50% (per non parlare delle elezioni in Lazio, dove l’ultima affluenza nel 2023 fu del 37%). A confrontare il dato con il 1970 – quando iniziò l’avventura delle Regioni – si nota un calo nella partecipazione di circa il 40%. Per le politiche – similmente, ma con qualche punto in più – il calo dal 1953, quando si raggiunse il 94%, all’ultima convocazione in cui andò ai seggi una media del 63% registra un -31%. Sui risultati in Sardegna ha potuto cantare vittoria la sinistra (anche se solo per 1600 voti, mentre addirittura ha perso in termini di coalizione, superata dalle destre); invece il responso dell’Abruzzo è stato balsamo per la destra che temeva un capitombolo come nell’isola ed è stata una doccia fredda per quel campo larghissimo in cui si erano associate tutte le opposizioni, compreso il terzo polo. Non c’è che dire: un colorito rimescolamento di carte che potrà facilmente rimescolarsi ancora col susseguirsi di tutti questi appuntamenti. I politologi, più o meno di professione, come anche i commentatori di strada, non possono non notare l’evoluzione interna alla maggioranza e all’opposizione attive a Roma, per cui l’alleanza appena abbozzata tra Pd e M5S già scricchiola e non sembra promettere un granché né per le europee (dove si andrà, più o meno, ognuno per conto proprio), né tantomeno per le politiche, dove conteranno ancora di più le stridenti differenze, ad esempio in politica estera. Nell’altro “campo”, abbastanza consolidato in sé – certamente a livello regionale (tanto da avere al suo attivo comunque ancora 14 presidenze contro le 5 altrui; fino a qualche settimana fa erano 15 a 4) – e non soggetto ai continui sussulti, variazioni e subaggregazioni caratteristiche della sinistra e di un centro mai rinato, hanno comunque da pensare perché gli equilibri interni sono mutati e stanno mutando rapidamente: con la Lega in affanno, Forza Italia che respira – anzi risulta rinfrancata dopo la perdita di Berlusconi – e Fratelli d’Italia che è in buona salute, ma deve fare i conti con la suscettibilità degli alleati. Giorgia Meloni ora si dovrà concentrare di più sul governo del Paese per dare risposte alle tante urgenze. Le europee troppo vicine non devono distogliere ancora di più dal compito primario.
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