Il professor Di Burra ricorda Giordano Bruno 424 anni dopo la sua immolazione sul rogo
Oggi, come da molti anni ormai, mi accingo nuovamente a commemorare Giordano Bruno. Cercherò di farlo senza quella retorica che Egli stesso aborrì, preferendo la pregnanza delle cose e la loro natura intuitiva e visiva alle parole, con la loro caratteristica acustica, destinate solo ad accarezzare le orecchie del pubblico.
Nell’opera “ I Dialoghi ”, Giordano Bruno sosteneva, infatti che la ricerca del vero non passa per la strada della verbosità retorica o dialettica, ma transita attraverso il deserto della solitudine della propria coscienza e nel più intenso e concentrato silenzio. Nessuno meglio di Bruno documenta in modo così particolareggiato questo passaggio dall’ordine sensoriale dei valori acustici a quello intuitivo dei valori visivo-luminosi e più la contemplazione si spinge in alto, mirando addirittura a Dio, più è folgorata da irradiazione istantanea, ossia dalla stessa luce divina.
Lo spirito risorgimentale che ancora anima, seppur in flebile misura, la gente italica, ha fatto sì che il ricordare Giordano Bruno fosse l’occasione per sottolineare le atrocità usate dalla Chiesa di Roma nel sopprimere, dopo dolorosissime torture fisiche, morali e spirituali, chi si era posto fuori dal gregge, finendo in pasto ai lupi, nella ricerca della verità.
Cercherò di evidenziare quanto oggi sia attuale e utilizzabile il messaggio del Nolano. Non ricorderò, quindi, le sue ultime tragiche ore di vita così come ce le descrivono i verbali redatti dalla Compagnia di San Giovanni Decollato che lo accompagnò nei suoi ultimi passi, ma tenterò di ricordare brevemente il suo luminoso pensiero e il fulgido esempio di coerenza nella ricerca della verità sostanziale, conclusosi con il supremo sacrificio di sé.
Filippo Bruno era nato nel 1548, in un’epoca in cui nella Chiesa Cattolica Romana si respirava già quell’aria di intransigenza e di violenta repressione che partorì il Concilio di Trento del 1563. L’Enciclica “Profissio Fidei Tridentinae” segnò ufficialmente l’inizio di quella intolleranza dogmatica che sarebbe perdurata fino al Concilio Vaticano Secondo (1962 – 1965).
Nel giugno 1566 Bruno, poco più che diciassettenne, entrò come novizio nel convento domenicano di S. Domenico Maggiore a Napoli, noto per l’alto livello dell’insegnamento universitario che vi era impartito, assumendo il nome di Giordano.
In quell’epoca di grande fervore umanistico, intellettuale e filosofico, il Cristianesimo si era scisso in molte e diverse unità e Giordano Bruno, negli insegnamenti di Erasmo da Rotterdam e nelle filosofie di Marsilio Ficino e dei neoplatonici del ‘400, intravide la possibilità della riunificazione e ricomposizione del Cristianesimo Universale.
Platone, il naturalismo degli Antichi, il Vecchio e Nuovo Testamento, ben si accordavano fra loro in un’unica Sapienza dove Salomone e Pitagora, e le tradizioni ad essi susseguenti, dicevano la stessa cosa.
Da qui la interpretazione e risistemazione neoplatonica dei massimi dogmi cristiani, nel tentativo di ricondurre ad uno spirito unico la Chiesa Cristiana e le altre scismatiche Chiese europee.
Da qui, tuttavia, il dissidio, destinato a concludersi tragicamente, con la Chiesa di Roma, la quale giudicava che per queste cose egli si fosse posto al di fuori del Cristianesimo, nonostante le reiterate dichiarazioni di Bruno che riteneva di essere rimasto nel suo seno.
Riproduco una parte del verbale del suo interrogatorio, svoltosi a Venezia il 2 giugno 1592, da cui risulta anche il suo modo di vedere la realtà universale:
“…Direttamente non ho mai insegnato cosa (alcuna) contro la religione cattolica cristiana, benché indirettamente (lo abbia fatto), come è stato giudicato a Parisi; dove per me fu permesso trattare certe disputazioni sotto il titolo ‘Centoventi articuli contra li Paripatetici’ ed altri volgari filosofi, stampati con permissione de’ Superiori, non pregiudicando altra verità secondo il lume della Fede”.
“Nel qual modo si possono legger ed insegnare i libri di Aristotile e di Platone, che nel medesimo modo, indirettamente, sono contrari alla Fede, molto più contrarii che li articuli da me proposti e difesi… li quali tutti possono essere conosciuti da quel che è stampato in quesi ultimi libri latini da Francoforte, intitolati ‘De Minimo’, ‘De Monade’, ‘De Immenso et innumerabilibus’ ed in parte in ‘De Compositione Imaginum’.
Ed in questi libri particularmente si può veder l’intenzion mia e quel che ho sostenuto… la qual in somma è che io sostengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potenza, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà e potenzia che, possendo produr oltra questo mondo, un altro ed altri infiniti, producesse solo un mondo finito”.
“Sì che io ho dechiarato infiniti mondi particulari simili a questo della Terra; la quale, con Pitagora, intendo un astro, simile al quale è la Luna, altri Pianeti ed altre stelle, le quali sono infinite: e che tutti questi corpi sono mondi e senza numero, li quali costituiscono la università infinita in uno spazio infinito, nel quale sono mondi innumerabili”.
“ Onde, indirettamente, avrei contrastata la verità secondo la Fede”.
“Di più in questo universo, metto una Provvidenza Universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e sta nella perfezione; e la intendo in due maniere, l’una nel modo con cui è presente l’anima nel corpo, tutta in tutto e in qual si voglia parte, e questo chiamo Natura, ombra e vestigio della divinità; l’altra nel modo ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenza e potenzia, è in tutto e sopra tutto, non come parte, ma in modo inesplicabile…”.
Ma la Chiesa di Roma non poteva sopportare che, tra l’altro, sul piano teologico si sostituisse la tradizionale immagine di Divinità trascendente e separata dal mondo, con una concezione di Dio immanente nella natura e nell’intelletto, Artefice Supremo dell’Universo e operante all’interno di esso in ogni singola cosa; non poteva sopportare, inoltre, che il Dio di Abramo e di Mosè fosse ridotto a semplice “Anima Mundi” che pervade di spiritualità un universo infinito, composto di un infinito numero di mondi, animandolo dall’interno.
Già il polacco Copernico superando la concezione geocentrica si era posto al di fuori dei dettati delle Sacre Scritture, figuriamoci come potesse un Frate sostenere che non poteva esistere un centro dell’Universo e che ogni centro, a seconda del punto di vista, era a sua volta circonferenza di qualche altro sistema planetario.
Tuttavia, anche se i discorsi nei quali Giordano Bruno si avventurava con gli altri frati non tardarono a far istituire contro di lui un processo per miscredenza, la ragione che lo portò a fuggire da Napoli prima e da Roma poi, fu di natura più terrena: infatti temette di essere incolpato della uccisione di colui che lo aveva denunciato di eresia.
Girovagò per l’Europa: Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania, approfondendo ovunque i suoi studi cosmologici, metafisici, fisici, matematici, psicologici e gnoseologici, approdando anche alla magia.
Non dobbiamo però di questo meravigliarci, poiché anche nel chiuso dei conventi, altri frati studiavano in silenzio queste cose. Tutt’al più viene da chiederci che fine abbia fatto questa segreta anima del cattolicesimo che, nei conventi, per oscuri frati, studiava nascostamente la cabalà, l’astrologia, l’alchimia e tutto ciò che di “scientifico” e di occulto ci fosse.
Oggi celebriamo in Giordano Bruno non già il filosofo, non già il sapiente di tutto quanto fosse possibile conoscere in quei tempi, ma onoriamo il ricercatore della vera “substantia”, l’uomo di desiderio, come l’avrebbe definito Louis Claude de Saint-Martin, ed ancor più celebriamo il libero pensiero che rivendicava per sé la libertà della ricerca e il dovere di superare i limiti della conoscenza ordinaria per poter ricomprendere in sé l’intero Universo e l’immensa spiritualità che lo pervade.
Louis Claude de Saint-Martin (Amboise, 18 gennaio 1743 – Aulnay-sous-Bois, 13 ottobre 1803) è stato un filosofo francese. Detto “il filosofo ignoto”, fu un pensatore spiritualista che propose una lettura dei testi cristiani alla luce del neoplatonismo e della tradizione qabbalistica, mettendo l’accento sull’interiorità della ricerca mistica e rigettando la scolastica (da Vikipedia).
Celebriamo, ancora, in Giordano Bruno il simbolo del Coraggio nel difendere con tenacia le proprie idee fino al sacrificio, perché veramente di Sacrificio si trattò.
I tempi odierni, purtroppo, non ci mostrano una scienza libera e disinteressata. Al contrario, ci mostrano una scienza prevalentemente asservita agli interessi economici, politici e militari della classe dominante. Una scienza la cui ricerca si indirizza quasi esclusivamente verso fatue ipotesi di potenza e benessere materiale, che non si ferma nemmeno di fronte al sovvertimento dell’armonia naturale.
Una scienza così sottomessa al potentato economico da non rispettare più le regole della Natura ed i suoi delicatissimi equilibri, arrivando con ciò ad offendere persino la “Anima Mundi” del Nolano.
E’ questo, quindi, il risultato di una ricerca scientifica non morale e non libera e ciò è sicuramente un insegnamento prezioso che, particolarmente in questi tempi bui di insensate guerre cruenti con la mattanza di vittime innocenti, e di disastro ambientale a livello globale, possiamo cogliere dall’esempio e dal sacrificio di Giordano Bruno.
A differenza dei nostri cosiddetti scienziati, Giordano Bruno mai ammise compromessi sulla morale e sulla libertà personale; giammai sul libero pensiero, tanto che fece stizzire gli sciagurati carnefici della Compagnia di San Giovanni Decollato, i quali ci riferiscono nei loro verbali che Egli “stette sempre nella sua maledetta ostinazione, aggirandosi con il cervello con mille errori e vanità”.
Riproduco l’ “Avviso” con cui venne comunicata al popolo, due giorni dopo, la esecuzione della condanna di Giordano Bruno:
19 FEBBRAIO 1600
Giovedì mattina in Campo di Fiore fu abbrugiato vivo quello scellerato frate domenichino di Nola, di che si scrisse con le passate : eretico obsinatissimo, ed avendo di suo capriccio formato diversi dogmi contro nostra fede, ed in particulare contro la SS Vergine ed i Santi, volse obstinatamente morire in quelli, lo scelerato; e diceva che moriva martire e volentieri, e che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in Paradiso…ma ora egli se ne avede se diceva la verità.
Con la sua morte, avvenuta all’alba del 17 febbraio 1600, Giordano Bruno si è fatto sacro e il ricordarlo oggi sarà, per me e lo spero per chi sta leggendo, consumare un Pasto Sacro, un nutrimento sublime per il nostro Spirito, una immissione di sacralità nella nostra più profonda interiorità.
Auguriamoci, quindi, che questo Jod introdotto fecondi in silenzio, irraggiando di luce vivissima i nostri centri vitali e si diffonda in quelli dei popoli di questo nostro sventurato mondo .
Questo è il vero valore del celebrare la ricorrenza della morte di Giordano Bruno, il Frate da cui non ci separeremo mai, perché la separazione non esiste. Siamo tutti Uno, in eterno contatto con l’Anima Unica…, come Egli stesso ci ha tramandato.
Ricordiamo il Nolano, con il vivo desiderio di fare di questa data, il 17 febbraio, la giornata della libertà di pensiero e religione, con i versi del celebre drammaturgo e poeta inglese Christopher Marlowe, contemporaneo di Bruno (1564-1593) e suo grande ammiratore.
I cardinali dormienti si affannano
a punire Bruno
che invece è lontano.
Vola.
Il suo superbo corsiero
vivo come il pensiero
Già passa le Alpi.
(Guglielmo di Burra – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)