Imparare a guardarsi attorno
È sabato pomeriggio. Mi dirigo verso una casa di riposo per fare visita ad una persona che si trova ricoverata da alcuni mesi. Purtroppo, quando arrivo, mi dicono che è necessario prenotare anticipatamente. Peccato, niente visita. Allora chiamo la persona al telefono, meglio di niente. Questa volta è andata così, la prossima mi organizzerò meglio. Approfitto per fare visita ad un’altra persona, che da tanto tempo mi dico di andare a trovare: so che è inferma, in casa propria. È un po’ tardi, la sera già sta per scendere. Cerco di sbrigarmi. Rintraccio la casa, suono il campanello. La badante, che la accudisce, mi apre: mi presento e chiedo della persona; dopo qualche battuta di conoscenza reciproca, mi accompagna da lei: è a letto, ma lucida e presente, e mi accoglie con stupore e con gioia. Qualche breve parola, uno scambio di pensieri e di ricordi, una semplice preghiera… Ci salutiamo con un senso di gioia nel cuore: quella profonda, che illumina e infonde un senso di serenità. La sensazione che provo è quella di una pienezza di vita, che ti fa percepire che tutto questo è un dono: proprio in queste situazioni, si tocca con mano che è più quello che si riceve di quello che si dà.
Questa è la parte bella della storia. C’è anche una parte meno bella, però, perché decidersi per quel viaggio non è stato così semplice, né così immediato. Perché c’è sempre qualche altra cosa – apparentemente più urgente – che incombe, resiste e spesso prevale. Altre volte, magari, è semplicemente la pigrizia o la superficialità a tenerci a distanza da ciò che è davvero fondamentale, come la relazione con le persone, come la cura di quanti vivono situazioni di fragilità. Ci teniamo alla larga, come il sacerdote e il levita della parabola del “buon samaritano” che fanno finta di non vedere il malcapitato, vittima dei briganti e lasciato ai bordi della strada.
«Nella vita può capitare a tutti di avere bisogno – mi disse una volta Silvano Fiorot, il fondatore dell’associazione “Lotta contro i Tumori – Renzo e Pia Fiorot” che celebra quest’anno il 40° anniversario dalla fondazione -. Allora è bene guardarsi attorno, perché un giorno potrei avere bisogno anch’io degli altri». Il “buon samaritano” si guarda attorno e si fa prossimo alla persona ferita.
Nel nostro territorio, grazie al Cielo, non sono pochi gli uomini e le donne che “si guardano attorno” e prendono sul serio il dolore e la sofferenza dell’altro. Penso ai tanti volontari nelle nostre comunità cristiane, alle numerose associazioni che fanno della cura dell’altro – soprattutto di chi vive situazioni di fragilità – l’obiettivo principale della propria azione. Penso al cammino diocesano “Vivere la prossimità”, realizzato in sinergia tra più uffici pastorali, che si prefigge di formare quanti intendono essere prossimi alla fragilità e sta coinvolgendo un numero importante di persone sensibili alla tematica. Espressione di questa sensibilità è anche il sussidio quaresimale “Chi è il mio prossimo?”, realizzato dall’ufficio missionario diocesano, che vuole essere uno stimolo a «ricostruire relazioni personali e comunitarie attraverso la vicinanza alle persone che incontriamo e soprattutto a quelle più fragili e sofferenti». La quaresima, anche grazie a questo strumento, può diventare un momento propizio per riconoscere nell’altro il proprio fratello e la propria sorella, “facendosi loro prossimo” non a parole, ma concretamente, andandoli a “incontrare”.
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