Convegno Bachelet: il pluralismo come metodo per ripensare la democrazia
“La democrazia non è una condizione naturale data una volta per tutte, richiede una vigilanza effettiva perché sempre sono dietro l’angolo le seduzioni del populismo o dell’autocrazia” con queste parole Gian Candido De Martin caratterizzato il 44esimo convengo Bachelet svoltosi lo scorso fine settimana. “Per una (r)esistenza democratica. Come si custodisce la democrazia”, questo il titolo del simposio che ha raccolto le testimonianze e i contributi di numerosi relatori, soprattutto nella seconda giornata, quella dedicata al tema del pluralismo. Un tema, questo, caro alla teoria democratica dello stesso Vittorio Bachelet. Nel suo intervento introduttivo De Martin ha parlato di “armonia” da implementare tra i cittadini. A seguire, Giusy Caminiti, sindaco di Villa San Giovanni che ha portato la sua testimonianza di “generazione ritornata” cioè di una generazione desiderosa di confrontarsi con il problema della cosiddetta ‘esistenza democratica’ nei piccoli grandi territori italiani in particolare del sud dell’Italia. “In che modo – ha esordito la Caminiti – il nostro impegno nel sociale e nelle professioni può farsi ‘bene comune? Solo attraverso il pluralismo delle voci, sia nelle piccole che nelle grandi decisioni, sarà possibile far sì che l’impegno civile dei cittadini possa tradursi in scelte concrete che possano permettere al terminale delle istituzioni – i comuni – di poter dire la propria all’interno di un progetto infrastrutturale di portata nazionale. Un pluralismo svuotato del dibattito con le popolazioni locali è deleterio”, ha aggiunto la Caminiti, e chiede che “il punto di vista dei Comuni diventi centrale nella nuova autonomia differenziata se non si vuole aumentare l’esclusione sociale”.
Il pluralismo dei luoghi decisionali però non passa solo attraverso le istituzioni, e anzi nel mondo globalizzato sono emersi nuovi importanti attori, in primis le grandi multinazionali che controllano le filiere del mercato e le grandi Big Tech dell’economia delle piattaforme, capaci di imporre consumi, dettare l’agenda mediatica, spostare capitali. Su questa linea “si inserisce anche la trasformazione del vecchio status quo internazionale” ha spiegato Monica Di Sisto, giornalista ed esperta di economia internazionale “L’economia tradizionale, legata alla divisione del mercato – ha continuato – aveva messo il potere nei paesi di antica industrializzazione, che ne detenevano la regia, e aveva spostato i luoghi di produzione lontano da quelli del potere. Oggi questa visione trova davanti a sé i propri limiti, perché chi era destinato ad essere solo la fabbrica del mondo si è trasformato in un pezzo della governance globale che oggi si impone appunto con le proprie scelte e le proprie visioni nell’ambito delle sedi internazionali. Tutto questo impone però una domanda esistenziale: ma noi, come cristiani, siamo i vecchi padroni? Siamo i nuovi sfruttati oppure siamo un pensiero troppo debole per il sistema Credo che per costruire un nuovo patto sociale internazionale – ha concluso – dobbiamo ripartire dalle nostre radici tenendo conto dei cambiamenti in atto: la natura, che si è infragilita e un sistema economico divenuto ormai estrattivo anziché essere redistributivo e circolare”. In tutto questo Marco Ferrando, vicedirettore di Avvenire, nel suo intervento ha sottolineato il ruolo dell’informazione. “La qualità del giornalismo e della democrazia sono legati – ha esordito Ferrando – e anche se il digitale ha finora svilito la pratica giornalistica, le occasioni, in realtà, non mancano per fare bene il nostro servizio”. Tutte queste suggestioni sono state infine raccolte da Giuseppe Notarstefano, presidente di Azione Cattolica, che in chiusura, sull’esempio di Bachelet, ha invitato tutti a “mettere a tema una grande riforma della partecipazione sociale economica e politica nel nostro Paese” tirando così la volata alle Settimane Sociali che come tema avranno proprio il “cuore della democrazia”.
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