LA PAROLA DI OGGI E’ Contrafactum / Le parole della musica con-tra-fàc-tum SIGNIFICATO /: ‘imitare, contraffare, falsificare’/
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Contrafactum
Le parole della musica
con-tra-fàc-tum
SIGNIFICATO Nella musica vocale, adattamento di un nuovo testo poetico a un altro preesistente, senza modifiche sostanziali della musica
ETIMOLOGIA termine coniato sul latino medievale contrafacere: ‘imitare, contraffare, falsificare’, formato da contra ‘di fronte’ e factum ‘fatto’ da fàcere ‘fare’.
- «Aquilino Coppini è stato uno dei più abili autori di ‘contrafacta’.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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Nella lingua italiana il termine ‘contraffatto’ non è un sostantivo; è il participio passato di ‘contraffare’ ed è usato anche come aggettivo. Un oggetto contraffatto è falso e spesso imita un altro di maggior valore. Qualcuno ricorderà il Parmesano spacciato all’estero come tipico prodotto caseario italiano, o le borsette griffate, vendute sulle bancarelle a pochi euro.
Nella musicologia il termine contrafactum – assente nel latino classico – è invece un sostantivo, ed è utilizzato per indicare genericamente la realizzazione di una composizione musicalmente uguale a un’altra, ma con un testo diverso. Si può chiamare anche contraffattura oppure parodia, ed è parente lessicale del contraffatto.
A questo proposito Thomas Persico segnala il valore semantico della voce verbale contrafacere «di origini latine, ma di diffusione romanza, dal significato intermedio tra falsitas e fictio». Nel Trecento italiano contrafacere e contrafactum furono usati perlopiù in atti di natura giuridica, redatti appunto in latino.
Semplificando molto, la falsitas costituiva la negazione del vero mentre la fictio poteva rappresentare il verosimile. Dunque, se la prima è riprovevole, la seconda può entrare nell’armamentario degli strumenti tecnici utili al poeta-musico, legittimato a fingere o a imitare a fini d’arte.
Tuttavia, afferma Maria Sofia Lannutti, in ambito musicologico la parola contrafactum fu introdotta da Friedrich Gennrich (1883-1967). Lo studioso trasse il termine contrafact da un canzoniere tedesco di fine Quattrocento, che non aveva niente a che vedere con la musica, ma indicava «la parodia profana di un componimento sacro». Gennrich, con una forzatura, latinizzò la parola e la traslò nell’ambito musicale.
Come metodo, la contraffattura in musica risale a tempi antichi; fu applicata sia in ambito profano, particolarmente da trovatori e trovieri, che sacro. Analogamente al celebre caso del Braghettone Daniele da Volterra, il pittore incaricato di mettere le braghe ai nudi affrescati da Michelangelo nella Cappella Sistina, in epoca controriformistica vennero riadattati i testi di alcune composizioni musicali profane, poco confacenti agli ideali di rinnovamento spirituale promossi dalla Chiesa.
Per esempio, nel 1607 a Milano fu pubblicata la Musica… di Claudio Monteverdi… fatta spirituale da Aquilino Coppini. Il madrigale Cruda Amarilli, che impiega rime guariniane tratte dal Pastor fido, nel contrafactum di Coppini divenne Felle amaro (il testo ‘corretto’ è in latino).
Un altro contrafactum fu realizzato a Roma da Giovenale Ancina, che epurò i versi di una crestomazia di madrigali del 1588, L’amorosa Ero, che trattava del mito erotico di Ero e Leandro. Ancina, stretto collaboratore di S. Filippo Neri, trasformò la venusta Ero nell’apostolo Pietro e il bel Leandro in Gesù che cammina sulle acque, trasmutando il tragico amore tra i due su un piano mistico.
I contrafacta sono ancora efficaci, anche se oggi vengono chiamati anche parodie. Il cabaret e il teatro satirico abbondano di testi nuovi adattati a musiche famose, che spesso mettono in ridicolo personaggi della politica, dell’informazione o dello spettacolo.
Casi diversi sono rappresentati dalla citazione o dal plagio. La citazione avviene quando un compositore omaggia un predecessore illustre inserendo in una propria creazione materiale musicale composto da quest’ultimo. Il plagio a volte è difficile da definire con precisione. La Canzone dell’amore perduto di Fabrizio De André ripropone sia nella strofa che nel ritornello l’Adagio del Concerto per tromba, archi e basso continuo in Re maggiore di Georg Philipp Telemann (1681-1767), sulla cui melodia il cantautore inserì ex novo il proprio testo poetico. De André comunque non lese i diritti di nessuno, perché Telemann era morto due secoli prima. Forse, invece, dimostrò che la musica ben scritta non è solo per pochi eletti, ed è così potente da sfidare la prova del tempo.