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Ruviano. Vivere fuori dal mondo: interessanti riflessioni sociologiche dello storico Michele Russo

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I primi ad andarsene furono i più poveri, quelli che non avevano nemmeno un pezzo di terra da arare. Cercarono fortuna nei nuovi mondi facendo quei lavori umili e pesanti che nessuno voleva fare, a volte mettendo a rischio la vita.
Partivano su navi strapiene di persone come loro. Tutti con lo stesso sogno: un futuro migliore per loro e per i figli. E in tanti ci sono riusciti. Oggi sono cittadini del mondo.
Poi fu la volta di quelli che non avevano un compare o padrino così potente da trovar loro un posto fisso in zona: nell’arma, nell’esercito, nelle scuole ma anche nelle industrie nazionali.
L’agiatezza dello stipendio, le nuove abitudini di chi vive mondo, la presa di coscienza che il nuovo era meglio del vecchio li fecero trapiantare e in tanti, pur potendo tornare, dopo anni di gavetta, decisero di fermarsi lì dove avevano trovato una vita migliore, una casa di proprietà, la macchina e una società, spesso fatta di corregionali, che li faceva sentire a casa.
Presto acquisirono nel parlare anche l’accento e la cadenza tipica del luogo dove vivevano tanto che quando tornavano a trovare i familiari sembravano stranieri.
Infine fu la volta dei “cervelli”, di quelli che con fatica e sacrificio avevano acquisito competenze che non trovavano sbocco lavorativo nel luogo natìo: per mettere a frutto il loro sapere, per essere riconosciuti nelle loro competenze e farsi la meritata strada nel futuro anche loro dovettero partire.
Pochi eroi mantennero un contatto periodico col paese potendo così paragonare la vita fuori dal mondo con quella del mondo ma quando esponevano le loro idee, impressioni, riflessioni a chi era rimasto, venivano presi per marziani.
Restarono quei pochi a cui il compare o il padrino era riuscito a trovare un posto fisso in zona, chi, avendo tanta terra e bassa istruzione, di malavoglia continuò a fare il mestiere dei suoi avi, e restarono quei pochi che avevano studiato e che si erano ritagliati un posto in loco: medici, giudici, professori.
E questi divennero la classe politica locale che si legò a compari e cumparielli creando a loro volta una clientela da presentare nelle fasi elettorali.
Il bar, il pallone, la politica con le beghe elettorali: questi i passatempi di chi rimase. Nel frattempo il mondo stava cambiando ma loro, che vivevano fuori dal mondo, non se ne accorgevano. La quiete in cui vivevano e la modesta stabilità economica che consentiva loro anche il mese di vacanza al mare era tutto quel che conoscevano e andava bene così: avevano il potere, i soldi e la tranquillità; cosa altro mai ci poteva essere?
Tutto gli cadde addosso quando i figli, avendo studiato, ormai numerosi e non più pochi sparuti come avvenuto ai loro tempi, dovettero spostarsi per trovare un lavoro dignitoso: il muro di Berlino era caduto, la prima Repubblica pure, i compari e padrini o erano passati a miglior vita, o a peggior vita, seguendo i loro maggiori nei meandri di mani pulite. Se volevi migliorare dovevi partire. Se volevi emergere, trovare la tua strada dovevi partire. E quasi sempre è stato un punto di non ritorno: le condizioni economiche e di vita dei piccoli borghi sono andate sempre peggiorando. A che scopo ritornare? Che futuro poter dare ai figli?
E oggi? E’ rimasto il paesano medio, senza pecche e senza onori; è tornato qualche pensionato che nei tanti anni vissuti lontano ha covato una nostalgia profonda per quello che aveva lasciato ed è rimasto intrappolato in un passato che non c’è più. Qualcuno per tornare ha abbandonato ideali, moglie e figli che mai avrebbero condiviso il genere di vita che per loro si prospettava: con quale futuro?
Già, il futuro. E’ quello il vero problema: ci sarà un futuro per i piccoli borghi rurali?
Il decremento della popolazione, lo spopolamento dei centri storici a beneficio di più comode e moderne residenze, la vita più decente nelle città direbbero di no.
Ma qui entra in gioco la classe politica, che deve essere capace di trovare soluzioni a medio termine per incentivare la permanenza e il ritorno alla vita dei borghi.
Per fare questo c’è bisogno di una classe politica competente, lungimirante e dedita agli interessi collettivi.
Politiche del lavoro, della fiscalità agevolata e dello sviluppo di un economia compatibile con l’ambiente, ma anche incentivi per chi decide di vivere nei borghi. Queste alcune priorità.
Chi oggi sceglie di vivere nei piccoli borghi ha anche bisogno di quelle comodità essenziali, che si chiamano servizi, garantiti nel mondo e non fuori dal mondo.
Dove si ritrovano queste capacità l’inversione di tendenza è sorprendente.
(Michele Russo; Alvignanello, foto di Giovanni Cusano – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web© Diritti riservati all’autore)
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