Vulnus vùl-nus SIGNIFICATO Lesione a un diritto; danno
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Vulnus
vùl-nus
SIGNIFICATO Lesione a un diritto; danno
ETIMOLOGIA voce latina, propriamente ‘ferita’.
«La tua presenza è un vulnus all’armonia del gruppo.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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La ricercatezza di una parola può essere apparente, e col latino questo accade in maniera piuttosto sistematica. In altre parole l’impressione è di finezza monumentale, ma invece il riferimento è a buon mercato — e questo non si misura tanto col metro della diffusione, non facciamo l’errore elitista di credere che una parola sia ricercata perché poco usata (anche perché ad esempio vulnus è un termine usatissimo). Si misura da come è usata, perché anche nelle frasi non è tutto oro quel che luccica.
Vulnus è una parola semplicissima, in latino, e significa ‘ferita’. Anche se magari non lo sapevamo direttamente, è un dato che echeggia con evidenza nel vulnerabile e ancor più nell’invulnerabile, che nella sua fantasia si conserva ben concreto — qualità materiale da Achille, Sigfrido, Superman. Naturalmente la figura della ferita si estende facilmente in metafora, e diventa il colpo, il danno, l’offesa, ma ecco, ripetiamolo e teniamolo presente: in latino vulnus è una parola di base, del lessico fondamentale. Perché va tenuto presente? Perché in quanto tale, ce ne vuole perché finisca per essere percepita come ricercata. Nessuna persona che padroneggia il latino la riterrebbe una parola particolare e particolarmente meritevole di essere introdotta senza adattamento in un’altra lingua.
La lessicografia registra l’ingresso stabile del temine vulnus in italiano nella seconda metà degli anni ‘80. Del Novecento. Non ha quarant’anni. Già questo ci fa capire che c’è qualcosa da capire, su questo recupero crudo.
Non è un termine tecnico, della cultura materiale, o che nasconda riferimenti specifici, o che denoti qualcosa di essenzialmente diverso dalla ferita nostra e dai significati figurati che le riconduciamo. Il suo valore, anzi la sua stessa ragion d’essere sta nel fatto che è in latino.
Non ci stupisce l’ambito in cui attecchisce: quello del diritto, in cui indica in maniera variegata lesioni di diritti. Quello del diritto è un linguaggio di rilievo pubblico, importante e dolente. Infatti nonostante tutti i propositi di scevrare i tecnicismi indispensabili da bizantinismi e shibbolet, la lingua oscura è sempre sulla cresta dell’onda. Ma c’è di più: quali linguaggi passano a servirsi delle briciole del lessico del diritto rimaste sui gomiti della toga a fine pasto, credendo di fare gran cosa Quello politico e quello giornalistico.
Posso parlare del vulnus che un certo reato infligge alla comunità; posso ragionare di come la nuova legge costituisca un vulnus per certi diritti; posso denunciare il vulnus gravissimo di una situazione che si trascina da tanto tempo.
Non è più nemmeno solo una lesione di diritti, quale ipoteticamente sarebbe nel gergo del diritto; il vulnus diventa il danno in genere — con una sfumatura che rasenta la bega. È una parola che si usa perché il latino è serio, non perché abbia un quid pluris, qualcosa in più che ci offre un significato più preciso e ficcante. Paluda, ammanta e quindi copre un concetto molto, molto semplice. È una di quelle parole che ci invita subito a guardare dentro alle ragioni della sua scelta: perché l’hai usata Vuoi fare impressione così?
Abbiamo molti sinonimi schietti, dall’offesa al danno, e possiamo anche dire direttamente ‘ferita’. È molto efficace, c’è il sangue, il dolore — non si deve aver paura della realtà che siamo in grado di evocare. Parlare di diritti feriti, di comunità ferite, della ferita di una situazione che si trascina è chiaro: se si vuol mostrare un vivagno dolente, non sono necessarie parole azzimate. Come dall’inglese per l’inglese, dobbiamo guardarci anche dal latino per il latino: è usato spesso per scollarsi dal reale dando un’impressione di ricchezza, ma in questi casi… è latinorum.
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