Nicaragua. Ortega e l’uso cinico dei migranti: arma di pressione contro gli Stati Uniti e “cassaforte” per l’economia del regime
Migranti di mezzo mondo usati come “arma di pressione” contro gli Stati Uniti. Connazionali emigrati usati come “cassaforte” per puntellare la fragilissima economia del Paese. L’utilizzo del fenomeno migratorio per consolidare il proprio potere è uno degli aspetti meno conosciuti del regime imposto in Nicaragua dal presidente Daniel Ortega e dalla moglie e vicepresidente, Rosario Murillo. Eppure, è quello che sta accadendo da tempo in uno scenario di crescente isolamento internazionale del Paese centroamericano.
Charter carichi di migranti a Managua. La strategia più raffinata, e ultima in ordine di tempo, consiste nell’utilizzare la migrazione per colpire gli Stati Uniti. A spiegarlo al Sir è Manuel Orozco, politologo nicaraguense in esilio, direttore del programma Migrazione, rimesse e sviluppo del Dialogo interamericano: “Anzitutto – spiega -, l’élite politica del regime ha cambiato tattica per quanto riguarda la migrazione dei cubani e di altre nazionalità, facendo leva sull’elevato numero di persone di molte nazionalità in fuga dai loro Paesi. Una realtà del periodo post-pandemia è che 18 Paesi rappresentano il 92% di tutta la migrazione irregolare che arriva al confine messicano. Nessuno di questi è un Paese politicamente stabile, in cui prevalgono lo Stato di diritto o la libertà di espressione. Il regime ha colto l’opportunità economica e politica di utilizzare la migrazione come politica estera contro gli Stati Uniti e per aumentare il peso della crisi umanitaria. Il regime ha iniziato eliminando le restrizioni sui cubani e nel 2023 ha eliminato le restrizioni sui visti per diverse nazionalità, tra cui gli haitiani. Nell’aprile 2023 il governo ha incaricato una società privata, con sede a Dubai, di formare il team dell’aviazione civile del Nicaragua per gestire le procedure di immigrazione per i passeggeri dei voli charter. Il risultato è che tra giugno 2023 e novembre 2023 ci sono stati più di cinquecento voli charter, aumentando gli arrivi e le partenze dei voli da 45 a 93 e generando un transito dal Nicaragua di oltre 100.000 passeggeri da Port-au-Prince (Haiti), L’Avana (Cuba) e Turks and Caicos a Managua”.
Come è facile pensare, tra le tante migliaia di migranti che sono atterrati e atterrano nella capitale nicaraguense, non ce n’è neppure uno che abbia intrapreso il viaggio per restare in Centroamerica. Per tutti, il sogno è di arrivare negli States, e in quest’ottica l’atterraggio a Managua consente ai migranti di mettersi in viaggio, puntando ad attraversare Honduras, Guatemala e Messico. Un itinerario lunghissimo e pieno di difficoltà, come da anni raccontano le cronache.
Per Ortega obiettivo raggiunto. Certo, “la politica opportunista di Ortega viene ora contrastata dalla comunità internazionale, e i voli stanno calando”, aggiunge il politologo. Il picco, infatti, si è raggiunto negli ultimi mesi del 2023. Ma il flusso non si ferma. Per esempio, a metà gennaio, è giunto all’aeroporto un grande Boeing 777 proveniente da Casablanca, con a bordo 400 migranti, perlopiù marocchini e indiani. In ogni caso, lo scopo è stato raggiunto. Mentre Ortega ha usato l’emigrazione come arma di attacco contro lo spirito della democrazia e del diritto internazionale, gli Stati Uniti hanno evitato di inimicarsi eccessivamente i regimi dittatoriali. Una delle ragioni addotte è che sanzioni più forti sono destinate a generare un impatto economico negativo sulla popolazione, che si traduce in emigrazione. Il calcolo politico degli Stati Uniti è stato quello di non accompagnare le sanzioni con una politica estera coerente con le priorità dell’attuale Amministrazione, ovvero l’interesse nazionale e la democrazia in questi Paesi. Il Nicaragua è un caso emblematico di come uno Stato isolato colpisca il mondo aumentando la migrazione e sostenendo il traffico di persone che aggrava la crisi migratoria”.
La diaspora nicaraguense e il fenomeno delle rimesse. Le dinamiche migratorie che vedono per protagonista il Nicaragua, sono però più complesse, e comprendono, oltre al fenomeno citato, anche una vera e propria “fuga” di cittadini nicaraguensi, a partire dalle proteste del 2018 e dalla successiva repressione, nell’ambito di una dittatura sempre più asfissiante. E, ironia della sorte sono proprio i migranti, attraverso le rimesse con cui dall’estero aiutano i propri familiari, a puntellare economicamente il regime di Ortega.
Prosegue Orozco: “La tendenza migratoria nel 2023 è stata quella di una continua emigrazione, pari al 2% della popolazione totale e al 4% della forza lavoro. I migranti nicaraguensi appartengono a tutti gli strati e gruppi sociali, siano essi a favore del Governo o dell’opposizione. In ogni caso, però, l’intenzione continua a essere giustificata più da ragioni politiche che economiche. Un’analisi statistica del sondaggio Cid-Gallup del novembre 2023, pubblicata sul ‘Confidencial’, mostra una correlazione statistica tra l’intenzione di emigrare e le condizioni politiche del Paese: chi vuole elezioni libere, la liberazione dei prigionieri politici e religiosi, la fine dello Stato di polizia, ha una probabilità 1,83 volte maggiore di emigrare rispetto a chi non vuole partire. Coloro che ritengono che il Paese stia andando nella direzione sbagliata hanno una probabilità di emigrare 2,86 volte superiore rispetto alle altre variabili. Anche gli adulti, i più istruiti e gli uomini hanno una maggiore intenzione di emigrare. Gli indicatori economici non sono correlati statisticamente con l’intenzione di migrare. Il problema è politico”.
Al tempo stesso, “più migrazione c’è, più rimesse arrivano e queste contribuiscono a compensare la mancanza di reddito con i soldi inviati dai migranti, che aiutano a migliorare i consumi e la capacità di risparmio. In una società totalitaria come quella del Nicaragua, esiste una ‘cattura dello Stato’, in cui l’espulsione massiccia di persone è uno dei pilastri economici del sistema politico, assieme ad altri fenomeni come l’estorsione, il clientelismo, la corruzione, la confisca. Le rimesse sono fondamentali per il regime Ortega-Murillo”.
Attualmente, infatti, le rimesse rappresentano il 20% del carico fiscale e il 33% del consumo nazionale. “Si tratta, però, alla lunga, di un’arma a doppio taglio, perché i migranti possono prendere decisioni su come controllare il denaro e avere effetti diretti sullo Stato. L’esperienza della diaspora cubana mostra come questa comunità abbia deciso di non inviare denaro attraverso i canali ufficiali e di utilizzare altre vie per raggiungere direttamente le proprie famiglie”.
*giornalista de “La vita del popolo”
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