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Ecuador: un Paese “inquinato” dal narcotraffico in un intreccio di traffici illeciti, riciclaggio, controllo delle carceri, vincoli politici

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Perché l’Ecuador? Perché uno dei Paesi più piccoli e, un tempo, relativamente tranquilli dell’America Latina si è trasformato in una sorta di Messico o Colombia, travolto dal terrore che viene imposto dai cartelli del narcotraffico? La domanda rimane, mentre l’emergenza dei giorni scorsi, con l’ondata di violenza scatenata dai gruppi criminali, sia nelle carceri sia nelle strade di alcune città, è lentamente rientrata, per lasciare, in ogni caso, posto alla paura e alla preoccupazione per “i prossimi attacchi”.

Nessuno pensa che il lento rilascio degli agenti di custodia delle carceri e il ritorno di una relativa calma nel Paese significhi che “il peggio è passato”, anche se si è, in ogni caso, assistito a una risposta forte da parte del Governo del giovane presidente Daniel Noboa, recentemente eletto. In particolare, non lo pensano coloro che il Sir ha contattato per capire un po’ più in profondità l’attuale situazione del Paese, tra l’altro connessa in modo non episodico alle mafie europee e in particolare italiane, e le prospettive per il prossimo futuro, che probabilmente sarà costellato da altra violenza e terrore.

“C’è un dato impressionante – denuncia Francisco Carrión Mena, docente emerito della Facoltà latinoamericana di Scienze sociali (Flacso) di Quito -.  Nel 2014, il tasso di omicidi nel Paese era di 5 ogni 100 mila abitanti, ora è di 46: 9 volte tanto. Una svolta repentina, che però ha cause, anche remote, ben precise”. Una situazione che, secondo il giornalista d’inchiesta Juan Carlos Calderón, direttore della testata Plan V, “non sarebbe stata possibile senza le commistioni con la politica e le istituzioni, ai vari livelli”.

I motivi dell’escalation. Perché, dunque, l’Ecuador si è trovato a essere il crocevia del narcotraffico? Ci sono cause semplicemente geografiche: il Paese, dove non esistono vaste coltivazioni di coca, è stretto tra i due Paesi maggiori produttori al mondo: la Colombia a nord, il Perù a sud. Le numerose città portuali sul Pacifico, soprattutto Guayaquil, rappresentano un ideale connessione con il Centroamerica e il Messico. Poi, ci sono alcuni fatti ben precisi. “A inizio millennio – spiega il prof. Carrión – gli Stati Uniti hanno lanciato il famoso Plan Colombia, dichiarando guerra ai produttori di coca nel Paese confinante. Il risultato è stato che le attività legate al narcotraffico si sono ‘spalmate’ nei Paesi vicini, Ecuador e Venezuela, dove si poteva agire più indisturbati. Già qualche anno prima, aveva perso importanza la rotta diretta tra Colombia e Stati Uniti, a tutto vantaggio dei cartelli messicani, che negli anni sono diventati i dominatori del mercato. In Ecuador questi cartelli hanno trovato terreno fertile negli ultimi anni, per la singolare posizione geografica e per le scelte politiche che hanno caratterizzato i Governi a partire dal 2017, con la presidenza di Lenín Moreno, e sono proseguite con Guillermo Lasso, il presidente che si è dimesso nei mesi scorsi. Scelte che si possono riassumere con lo slogan ‘Stato minimo’. In pratica, un’assenza della politica dai processi sociali e dalla presenza sul territorio, con un’unica risposta, emersa anche in questi giorni, di tipo militare”.

Risposta debole e contraddittoria, secondo il giornalista Calderón, anch’egli convinto che i fatti di questi giorni abbiano solide radici: “Un anno chiave è 2018, quando si verificò una serie di attacchi, a giornalisti e agenti, a San Lorenzo, alla frontiera con la Colombia, attribuita ai dissidenti della ex guerriglia colombiana delle Farc. Da quel momento, l’attività dei colombiani si intreccia a quella dei cartelli messicani, in particolare il cartello di Sinaloa, che ha trovato qui l’appoggio dei Los Choneros, e di Jalisco Nueva Generación. Le dispute tra cartelli si sono spostate anche nel nostro Paese, e il decreto con cui il Governo ha decretato lo Stato di conflitto interno cita per nome 22 gruppi criminali, anche se i maggiori sono quattro o cinque”. L’Ecuador è diventato, così, un fondamentale snodo, non solo verso il Messico e gli Usa, ma anche verso l’Europa, soprattutto attraverso i porti di Rotterdam e Anversa, oppure attraverso la Spagna, in particolare il porto di Algeciras. Nei mesi scorsi, ci sono stati vari sequestri di 8-9 tonnellate di coca provenienti dal Paese latinoamericano, “per Rotterdam passano almeno 50 tonnellate di coca all’anno”. Centrale il ruolo delle mafie, come la ‘ndragheta e i gruppi albanesi. Racconta il cronista: “Dal carcere di Latacunga, qui in Ecuador, alcuni boss albanesi gestivano indisturbati il traffico con l’Europa”.

Traffici illeciti e carceri: le “leve” dei cartelli. Il narcotraffico ha, di fatto, “inquinato” e corrotto tutto il Paese, in un intreccio di traffici illeciti, riciclaggio, controllo delle carceri, vincoli politici. Il docente fa presente che “si è iniziato a pagare la coca non con i dollari, ma attraverso la cocaina stessa. Da qui la sovrapproduzione, che ha causato anche un crollo del prezzo di circa due terzi, la necessità di aumentare il consumo interno, la ricerca di nuovi mercati – dal Brasile, con i suoi potenti cartelli, all’Europa – il riciclaggio”. Conferma Calderón: “Ci sono fortissime connessioni tra la coca e le miniere d’oro illegali, che diventano una modalità di riciclaggio. I passaggi dell’oro sono meno facili da seguire. Ma esistono anche altri traffici illeciti vincolati al traffico di droga. Pensiamo alle armi, il cui possesso è fondamentale per i cartelli, che hanno una forza di 40-50 mila persone armate. Si tratta di un vero e proprio esercito, con numeri maggiori rispetto a quello ‘regolare’, che conta 38 mila effettivi, mentre in tutto il Paese gli agenti di polizia sono 52 mila”.

Altro fronte strategico è quello delle carceri, totalmente in mano ai cartelli, secondo il giornalista, “fin dal 2013, quando, mentre era presidente Rafael Correa, i Choneros hanno preso il controllo di alcune strutture in cambio di pacificazione. Lo Stato ha permesso che venisse perso il controllo delle carceri. Oggi tutto è in mano ai gruppi criminali, dai materassi dei letti alla ristorazione. Un detenuto deve pagare il pizzo per dormire o per telefonare. In tal modo, le stesse carceri sono diventate anche un modo per creare un ulteriore giro di soldi”. Il docente conferma: “Va premesso che il Codice penale del 2014 ha inasprito il controllo sulla criminalità, la popolazione carceraria è aumentata in otto anni da 14 mila a 42 mila persone. Poi, le Istituzioni sono venute a patti, con i detenuti ripartiti nelle strutture di detenzione per ‘affinità’. In tal modo, ogni padiglione è in mano a un’organizzazione”.

Le collusioni della politica. Resta il nodo delle collusioni con la politica, centrale in vista del futuro. Calderón ne è convinto: “Ormai i narcos finanziano le campagne elettorali, almeno 40 Municipi sono sotto il controllo della narco-politica. Siamo arrivati a questo punto a causa delle collusioni dei partiti e dei funzionari pubblici”.

Carrión è convinto che il rischio sia, soprattutto, un altro: “La politica ha perso il suo ruolo, più che altro è assente. Lo Stato manifesta la sua presenza solo attraverso l’Esercito e la Polizia, solo con provvedimenti di ordine pubblico. La gente ha sempre più paura e non esce di casa. Ora, i gruppi criminali hanno rotto la luna di miele del nuovo presidente Noboa. La risposta ha fatto salire il suo consenso, ma si resta sempre dentro una logica di forza, di carattere militare. Personalmente, penso che la risposta dello Stato abbia fatto retrocedere, per ora, i gruppi criminali. Ma si tratta di convenienza, presto torneranno ad alzare la testa, è una cosa ciclica”.

 

*giornalista de “La vita del popolo”

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