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Attualità

Il Codice Nordio: “Pronto chi parla”. Non si può sapere SEMBRA UNO SCHERZO, MA È TUTTO VERO – Cortocircuito. “Domani ti porto la cocaina”. A meno che lo spacciatore non sia esplicito, non sarà possibile trascrivere con chi dialoga DI PIERCAMILLO DAVIGO

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L’ANALISI

Il Codice Nordio: “Pronto chi parla”. Non si può sapere

SEMBRA UNO SCHERZO, MA È TUTTO VERO – Cortocircuito. “Domani ti porto la cocaina”. A meno che lo spacciatore non sia esplicito, non sarà possibile trascrivere con chi dialoga

DI PIERCAMILLO DAVIGO

15 GENNAIO 2024

L’ultima trovata in tema di intercettazioni è l’approvazione in Senato di un emendamento che prevede il divieto di trascrivere (sembra di capire nei cosiddetti brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria) il nome “degli interlocutori” e persino degli elementi “che consentono di identificare i soggetti diversi dalle parti”.

Così non si potrà sapere chi parla.

Potrebbe sembrare uno scherzo, ma non lo è. Anzitutto i legislatori sembrano dare per scontato che la polizia giudiziaria sappia chi sono tutte le parti del procedimento, in modo da poter agevolmente individuare chi è parte del procedimento e chi no.

Non è così: le intercettazioni vengono normalmente disposte ed eseguite nella fase delle indagini preliminari, in quanto si tratta di atti a sorpresa che possono essere utilmente compiute solo se l’intercettato non sa di esserlo, come accadrebbe se fossero disposte in udienza preliminare o in dibattimento. Ma la fase delle indagini preliminari è una fase fluida in cui le parti possono variare di giorno in giorno: per esempio si possono individuare ulteriori indagati o ulteriori vittime.

In secondo luogo, benché il pubblico ministero possa procedere direttamente all’intercettazione, normalmente ne delega il compimento alla polizia giudiziaria. Gli operatori delegati ricevono dal pubblico ministero il decreto che dispone le intercettazioni (previa autorizzazione del giudice o convalida se disposte d’urgenza) e non è detto che abbiano informazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle contenute in tale decreto. Dovrebbero quindi, al momento della registrazione di ogni conversazione, interpellare il pubblico ministero per sapere se uno dei soggetti che conversano sia una parte o meno.

Peraltro, chi non è una parte in quel momento, potrebbe diventare tale nei giorni successivi, il che significa che la polizia giudiziaria sarà costretta a trascrivere, in modo informale, ai propri fini interni tutte le conversazioni, per poi integrare i brogliacci quando taluno dei conversanti venisse ad assumere la qualità di persona sottoposta ad indagini o di persona offesa dal reato, dopo aver sottoposto informalmente al pubblico ministero le trascrizioni provvisorie per decidere se inviarle formalmente o no.

Faccio un esempio: in ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione di solito si dispone l’intercettazione dei familiari del sequestrato (che è certamente una vittima) per cercare di individuare i sequestratori che richiedono il riscatto. I familiari del rapito, salvo che paghino loro il riscatto, non sono vittime e quindi parti, ma potrebbero comunque essere considerate danneggiati dal reato perché privati comunque dell’affetto di un familiare. In ogni caso l’interlocutore che risponde al telefono potrebbe essere un amico di famiglia che sta prestando il suo aiuto ai familiari del rapito. Certamente costui non è una parte, ma sarà necessario sentire questo amico nel procedimento oppure no? Nel primo caso dovrà pur essere identificato. Dovrà essere l’operatore di polizia giudiziaria addetto alla trascrizione a fare tali valutazioni? Evidentemente costui interpellerà i suoi superiori, i quali dovranno a loro volta consultare il pubblico ministero. Solo all’esito di queste consultazioni si potranno stendere i brogliacci.

Inoltre, come si è detto, chi non è parte oggi potrebbe diventare tale il giorno dopo e quindi sarebbe necessario integrare le comunicazioni già fatte al pubblico ministero e talora ciò può dipendere da una diversa interpretazione di conversazioni alla luce di ulteriori registrazioni.

Ciò accade frequentemente in materia di traffico di sostanze stupefacenti dove l’interlocutore (salvo che un non sia un deficiente) non dirà: “Domani ti porto la cocaina”, ma userà linguaggi criptici, che potranno essere decifrati solo alla luce di una visione complessiva di tutte le conversazioni. Ma, se queste non sono state trascritte come rintracciare (fra le centinaia di colloqui) lo stesso soggetto, se non sono possono essere indicati neppure gli elementi “che consentono di identificare i soggetti diversi dalle parti” (quindi, ad esempio, il numero di telefono).

Una delle caratteristiche dei nostri legislatori è che immaginano che esista un unico procedimento con risorse umane e materiali, nonché tempi infiniti a disposizione. Invece esistono milioni di procedimenti con risorse limitatissime.

In Italia l’organico dei magistrati è, rispetto alla popolazione, la metà della media europea e tale organico ha una scopertura che oscilla fra il 15 ed il 20%.

Scrivere norme che impongono una specie di gioco, fatto di ascolto, trascrivo, non trascrivo, riascolto e trascrivo, fa ritenere che i legislatori pensano che si possano buttare tempo e risorse senza alcuna seria necessità.

Peraltro, le registrazioni, anche se non trascritte, dovranno comunque essere consegnate al pubblico ministero, il quale, in assenza di trascrizioni comprensibili, dovrà riascoltare le registrazioni stesse.

Anche i difensori, ancora, quando dall’esame delle conversazioni trascritte dovessero individuare conversazioni che ritengono rilevanti per le esigenze difensive potranno chiedere al giudice la trascrizione o il rilascio di copia delle relative registrazioni.

A tacere delle enormi perdite di risorse che l’emendamento comporta sarà necessario sempre più tempo, con buona pace della necessità di ridurre la durata dei procedimenti.

I procedimenti penali non sono un gioco di società (come sembrano pensare legislatori che, evidentemente, non hanno la minima idea delle cose di cui si occupano) ma vicende molto serie in cui è necessario concentrare energie, tempo e risorse per ricostruire i fatti, anche per evitare di sbagliare.

Il conte duca (che non è solo un personaggio dei film di Fantozzi) Gaspar de Guzmán y Pimentel Ribera y Velasco de Tovar, conte di Olivarese duca di Sanlúca, nel ‘600, per spiegare al re di Spagna la crisi del Regno, concluse: “Faltan cabezas”. Mancano le teste.

Ho la sensazione che anche in Italia manchino le teste.

LEGGI – Abuso d’ufficio, la legge del marchese del Grillo

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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