Speciale Caceri: ‘lo sguardo oltre le mura’, con il Garante del detenuti, Mauro Palma, e monsignor Matteo Zuppi
Una conversazione tra Mauro Palma, da poco ex Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, e Monsignor Matteo Zuppi, presidente della Cei.
Nel 2020, durante la pandemia, ho avuto l’occasione di girare delle interviste e altro materiale sull’attività e la persona di Mauro Palma, al tempo Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà; tutto ciò è stato possibile grazie al valido e gratuito contributo di giovani professionisti al tempo disoccupati per via del Covid e all’insostituibile contributo delle mie due figlie che hanno messo insieme la squadra.
“La matematica della libertà”, titolo provvisorio del mio doc fantasma, giace al momento nel cassetto in attesa che qualcuno voglia investire qualche euro per finirlo. L’idea era nata in seguito alle rivolte carcerarie e ai troppi morti tra i detenuti. Su questo tema sono riuscita a riprendere una lunga conversazione tra Palma e Monsignor Matteo Zuppi.
Attualmente Palma e le sue bravissime collaboratrici Daniela de Robert e Emilia Rossi hanno ufficialmente concluso il loro mandato (Palma ne ha tratto alcune conclusioni su questo stesso giornale il 2 dicembre scorso). Ho chiesto a Palma e a Zuppi se potevamo ripetere l’incontro, questa volta solo su zoom. Dopo lunghe trattative su date e orari finalmente ci siamo riusciti. Mauro Palma si collega per primo.
Come ti senti alla fine di questa lunga e avventurosa esperienza
Palma: Come quando stava morendo Francisco Franco che ogni giorno si diceva che era morto, poi invece non era mai morto. Al di là della battuta mi sembra una situazione simile: ho partecipato già a un numero abbastanza alto di miei “funerali”, situazioni in cui le persone mi hanno ringraziato, in cui mi hanno detto ci mancherai. E tutte le volte sembrava che stesse per finire.
Un bellissimo dialogo fatto alla Bocconi a metà novembre con Marta Cartabia e il giorno dopo in Statale, con delle cose anche commoventi, ho visto molto affetto, molto apprezzamento di ciò che si era fatto… però tutte situazioni che davano appunto per scontato che il nostro compito era finito. Fino a quando noi, io e le mie due colleghe Daniela de Robert e Emilia Rossi, abbiamo scelto, come data il primo di dicembre e abbiamo organizzato nella sala Zuccari del Senato il saluto ufficiale con interventi, con l’inno di Mameli in una versione molto bella diretta da Muti, poi abbiamo annunciato che noi andavamo a mettere dei fiori alle Fosse Ardeatine perché era doveroso ricordare quella situazione dove da una detenzione si è passati alla morte.
Ma il 2 dicembre non è successo assolutamente niente. Vanno completati tutti i passaggi formali. Dal punto di vista soggettivo nostro è una situazione strana perché continuiamo a lavorare ma non si riesce a progettare niente. Ti senti in una specie di passato che non è finito e di presente che non è cominciato.
Mi chiedevo chi sarà quel pazzo che si arrampica sulla scaletta della nave Covid col mare grosso come hai fatto tu…
Palma: già! Quello che dovremo comunicare a chi ci sostituisce è che questo è un lavoro che ti richiede una messa in gioco personale molto forte, qui si richiede il fatto di andare a scovare i problemi, andare a farli emergere, perché le vulnerabilità delle persone non sempre sono esplicite, tu devi avere pazienza, dare tempo alle persone per tirar fuori… e non sempre i luoghi di privazione della libertà sono quelli canonici.
Io in questo in questo ero avvantaggiato perché venivo da più di undici anni a Strasburgo dove avevo presieduto il Comitato che aveva lo stesso ruolo. È importante avere l’impostazione giuridica dei problemi ma è anche importante capire che tra il diritto in qualche modo affermato, il diritto vissuto e il diritto registrato, diciamo, nell’osservazione non sempre questi tre ambiti coincidono, e capire laddove non coincidono.
(Nel frattempo è arrivato Monsignor Zuppi). Ci eravamo lasciati durante il Covid… non mi sembra che la situazione carceraria sia migliorata anzi! le poche cose positive che si erano ottenute per via dell’emergenza sono state eliminate…
Palma: per esempio il carcere aveva sperimentato le tecnologie e le videochiamate. La videochiamata porta il colloquio in un contesto che è il tuo, ti fa entrare nei luoghi familiari. Nel dopo Covid, cioè adesso, gli elementi positivi sono scomparsi si è ritornati alla precedente gestione, si è cominciato con il fatto che i semiliberi, che avevano avuto per due anni la possibilità di non tornare a dormire in carcere, appena finita l’emergenza, hanno dovuto riprendere a tornare. Sulle telefonate abbiamo avuto un dibattito estivo pietoso: “diamo 5 minuti in più o in meno”.
Zuppi: cosa c’è per le carceri nella Finanziaria c’è stato un pensiero? un finanziamento? si agisce sul contenimento e basta È chiaro che è necessario un piano a lungo termine sia per quanto riguarda il discorso della Polizia penitenziaria sia per quanto riguarda le strutture e anche le pene alternative.
Palma: la cosa più eclatante è stata la proposta di passare al penale il fatto della dispersione scolastica, cosa che c’è stata nell’ultimo decreto: se i ragazzini non vanno a scuola allora metto la penalità ai genitori!
A proposito di Finanziaria la Presidente del Consiglio alla domanda sul carcere ha detto si stanno facendo otto padiglioni. È vero, si fanno otto padiglioni che peraltro erano stati una decisione del precedente Governo, sono otto padiglioni da 80 persone, un totale di 640 posti. La differenza attuale che c’è tra i posti regolamentari disponibili e il numero di detenuti è di circa 13.000 posti mancanti, quindi è evidente che il problema non si risolve con l’edilizia.
Zuppi: Ho l’impressione che le chiusure durante il Covid, con le conseguenze drammatiche che ci sono state, non hanno insegnato molto se anche le aperture temporanee positive come le telefonate sono state sospese. Dobbiamo far tesoro dell’esperienza di una tragedia che c’è stata, con le violenze e i tanti morti che ci sono stati in diverse carceri.
Palma: il carcere attualmente, parlo della media sicurezza non dell’alta sicurezza, sta registrando una fase di grande chiusura, di disattenzione istituzionale a un linguaggio che sia anche di comprensione. E, invece, un linguaggio sempre più centrato sull’esclusione, sul distanziamento, sta influenzando proprio la narrazione sul carcere e, anche, negativamente, il linguaggio giovanile.
Questa idea che io chiamo del “castigo meritato”, è un’idea terribile che sta dilagando tra i ragazzi. Questo comporta che c’è da fare del lavoro nel carcere ma ce n’è ancor più da fare fuori dal carcere, nel tessuto sociale dove le culture si costruiscono.
Ecco perché, in qualche modo, anche un Garante così come un Cappellano o un Vescovo hanno innanzitutto il tema di andare a scardinare questo modo di affrontare i problemi. Scardinarli nel sociale perché sennò il carcere da solo non ce la può proprio fare.
Zuppi: L’altro grande problema di fondo è che le strutture di reinserimento sono sempre molto poche, per le donne e per i minori siamo molto, molto indietro; ed è la Chiesa che ne fa di più, non c’è dubbio.
Qui abbiamo aperto la struttura di accoglienza don Nozzi a Corticella, per fortuna tutta la Chiesa di Bologna si è coinvolta in grossi lavori e adesso ci sono quelli della Giovanni 23º che vorrebbero fare una cosa analoga cioè aprire una struttura di accoglienza per i minori che manca. Ma non basta.
Palma: Questo modello del “separare” come forma per affrontare la complessità sta diventando dirimente anche al di là del carcere con questa idea di ampliare i centri per migranti. Lì non abbiamo la punizione, non c’è il castigo meritato, ma l’insopportabilità della diversità.
In qualche modo se non sei regolare finisci dentro i centri per migranti. Quello che mi preoccupa è che il paradigma detentivo affronta contraddizioni che sono anche territoriali e si espande su altri temi, laddove non si trovano soluzioni. E questo sui migranti sta venendo fuori in maniera pesante.
Zuppi: Il problema con gli stranieri, purtroppo, è che tutti i governi lo hanno affrontato in termini di emergenza e di presunta sicurezza. Dico presunta perché poi chiaramente non c’è quando gonfi i centri a cui mancano i finanziamenti per garantire la difesa dei diritti, l’assistenza sociale, tutta la struttura che può permettere un rapporto serio con le persone e quindi la possibilità di un serio esame delle situazioni.
Il solo contenimento senza integrazione o eventualmente il rimpatrio concordato, con gli aiuti necessari, non basta! Non riusciamo ad attuare i flussi. Il problema è la domanda-offerta: noi abbiamo un’offerta enorme di persone, che non aspettano altro, offerta che non si riesce a mettere assieme con la domanda che è ugualmente enorme.
Il Presidente di Confartigianato nel suo discorso ha detto che i mancati guadagni per gli artigiani sono stati l’anno scorso equivalenti a 10 miliardi di euro. Per mancanza di manodopera non sono riusciti a rispondere alle commesse e aumentare la produzione e quindi le vendite. Questo lo dicono tutte le categorie: edilizia, turismo e via dicendo.
Allora proprio questa è la contraddizione. Aggiungerei che, a quel poco che ho capito, questo famoso accordo europeo in realtà è purtroppo soltanto ancora in termini di sicurezza. Un approccio solo difensivo di chiusura non risolve il problema e purtroppo l’Europa non ci aiuta… direi che l’Europa dovrebbe aiutare tutti a garantire un altro modo di affrontare la questione, a permettere il cambio di paradigma che dicevi tu, indispensabile pensando alle proporzioni del fenomeno. Solo uniti potremo dare delle risposte efficaci.
Palma: D’altra parte l’Europa dà i soldi alla Turchia perché non arrivino, vuole dare soldi alla Tunisia, all’Albania… io sono un pochino pessimista, cioè pessimista a livello quasi planetario su questo problema perché vedo come si comporta l’Australia, per esempio, che li manda in un’isola, vedo gli Stati Uniti rispetto al Messico. Il bisogno è visto come disturbo e la povertà come errore del singolo. Questo è! È un qualcosa che interroga, direi, la concezione filosofica del presente. Essere bisognoso equivale a disturbare chi non lo è, lo spinge a volersi difendere. Lo vedo proprio a livello planetario e non trovo delle situazioni di accoglienza a cui poter fare riferimento.
Io ogni tanto sbatto la testa al muro rispetto al fatto che l’89, che è stato il crollo di alcuni muri, è stato l’inizio di tanti muri. Qui si spendono miliardi per costruire muri che poi sono l’emblema dei muri mentali, dei muri soggettivi che viviamo. Non voglio adesso allargare troppo il discorso però mi domando come sia possibile cercare di far germogliare un paradigma diverso. Mi assale quest’idea in un mondo che costruisce difese dagli altri.
Zuppi: Se manca una, diciamo, idealità comune che unisca, che in fondo era quella che ha permesso nel dopoguerra di creare delle strutture sovranazionali e il multilateralismo, con alcuni passaggi fondamentali, penso, appunto, a tutte le dichiarazioni dei diritti, oppure la struttura stessa dell’ONU, oppure, non so, Helsinki per l’Europa…
Quando ancora c’era la convinzione e anche la consapevolezza che è meglio perdere sovranità per dotarsi di un approccio comune per prevenire i conflitti, che significa anche combattere le ingiustizie, i disequilibri… direi questa grande visione europea nel mondo cattolico interpretata dalla Populorum progressio, questo senso di universalità, di giustizia…
Dopo il crollo del muro non abbiamo saputo cogliere le opportunità per costruire delle relazioni nuove. Perché la Russia non doveva e non poteva avere un legame diverso con l’Europa con la NATO in una rivisitazione generale? perché continuare a considerarla un nemico o non avviare delle relazioni diverse?
La seconda parte dell’articolo 11, poi, non è soltanto riguardo alla guerra, al ripudio della guerra come strumento per risolvere i conflitti, ma anche per risolvere i disequilibri, le ingiustizie e per pensare di affrontare i temi che sono e che saranno epocali.
Faccio un esempio: l’Africa diventerà, credo in trent’anni, il continente più popoloso, più dell’India e della Cina che invecchia paradossalmente dopo le scelte degli anni 60 sulla natalità. Allora è impensabile credere di poter gestire una pressione che aumenterà! Basta guardare sulle piantine dove sta la ricchezza e dove sta la popolazione, a un certo punto la grande popolazione cercherà di entrare dove c’è la poca popolazione e un’enorme concentrazione di ricchezza…ecco, questo richiederebbe una grande visione multilaterale e anche degli strumenti sovranazionali che possano, appunto, ipotizzare delle risposte, entrare in una in una prospettiva capace di affrontare un cambiamento così epocale. Almeno provare seriamente a farlo a partire dai termini reali non da quelli supposti.
Palma: Vedi, io sono un po’ affascinato da alcuni progetti di Ferrajoli, che sembrano del tutto impropri adesso, su una “Costituzione della terra”, cioè di pensare a strumenti nuovi, di accordi, di garanzie che riguardino il pianeta in quanto tale. Perché il regionalismo continentale è l’equivalente del sovranismo di 70 anni fa. Dobbiamo superare questa visione a partire dal problema del movimento delle persone. Io dico sempre che il diritto a emigrare, come diritto, c’è addirittura in alcuni testi del XVI e XVII secolo; ma allora era il diritto a emigrare per andare a colonizzare, cioè il diritto soggettivo di poter andare. Adesso, che, invece, il diritto a emigrare è per venire, in qualche modo, a chiedere, l’abbiamo completamente perso. Io rimango inorridito quando l’Europa pensa di delocalizzare le proprie difficoltà: non ci stanno riuscendo perché ci sono ancora le Corti, però… quanto è fragile tutto ciò se è solo lo strumento giuridico a contenere le pulsioni!
Zuppi: Le Corti europee devono difendere i principi costitutivi che sono vicini a quelli della nostra Costituzione. Solidarietà e giustizia sono fondamenti dell’Europa in cui i diritti della persona non possono essere messi in discussione. Quando diciamo di uscire da un’idea di sola sicurezza difensiva non è soltanto idealismo, è proprio realismo. L’attenzione al mondo delle carceri deve ricostruire quello che è stato lacerato e che ha bisogno di essere ricomposto, cui dare speranza perché il fine non è mai solo il contenimento, ma sempre la redenzione, per i motivi cristiani della visita in carcere dove incontriamo la presenza di Gesù e per quelli fondativi della nostra civiltà, – solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace – ricordati dal presidente Mattarella l’ultimo dell’anno. Quanto poi ai soliti commenti “voi siete dei buonisti”, o quello rozzo per cui “la Chiesa c’ha degli interessi”, dico che la Chiesa mette tante risorse e casomai l’unico interesse che ha è la persona e i diritti fondamentali, che dovrebbero essere un interesse generale e non solo della Chiesa.
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