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Malinconie natalizie (sagaci riflessioni dell’emerito professore molisano Guglielmo Di Bura)

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Malinconie natalizie.

NATALE

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata…

Questi versi struggenti e asciutti sono di Giuseppe Ungaretti. Una lirica di 23 versi, per lo più monosillabi e bisillabi. Secchi, come il dolore che il poeta esprime. Sono stati scritti a Napoli il 26 dicembre 1916, durante una breve pausa di congedo dal fronte italo-austriaco della Prima Guerra Mondiale.

Il messaggio fondamentale è il bisogno di tregua e di pace dalla stanchezza della vita. Dice che non ha voglia di andare per le strade confusionarie, è stanco, chiede di essere lasciato solo, come un oggetto dimenticato in un angolo. E vicino al calore del camino.

Il ritmo di questa poesia è lento, procede “come un singhiozzo”, sembra senza musicalità, quasi a manifestare quel senso di stanchezza e tristezza del poeta. Un ritmo che crea angoscia nell’animo di chi la legge; il che pare contrastare con l’immagine del caminetto, che, però, più che calore sembra evocare emozioni che mancano.

Si avverte, infatti, in sottofondo la presenza, sospesa ma mai annullata, della guerra che il poeta soldato cerca di dimenticare, rifuggendo le ansie e i pericoli del conflitto (il gomitolo di strade, la folla della città, l’assembramento, gli ricordano l’ammasso dei soldati nelle trincee), per rifugiarsi nella dimensione intima della casa, dell’angolo e del focolare, ripensando all’esperienza vissuta, prima di rituffarsi ancora nel dramma della guerra.

Dai versi traspare la mancanza di speranza e un sentimento di impossibilità di ricevere aiuto. Vediamo un ritiro in se stesso, assenza di piacere e di provare piacere, spossatezza, che richiamano il rallentamento dei movimenti e dell’attività psichica, la stanchezza fisica e l’abbattimento dell’umore. Il dolore.

Più che di dolore… forse sarebbe più giusto parlare di malinconia. Indotta dal dolore, dalla sofferenza, dall’eco, ancora vivo, delle trincee, dei corpi dei compagni massacrati e caduti nello scontro, della morte…
Ma malinconia. Tristezza. L’umor filosofico o, se si preferisce, l’umor nero. Che, si dice, prenda molti in prossimità delle feste natalizie. E che contrasta con i colori vivi degli addobbi, il rosso e l’oro trionfanti, le luci scintillanti…

Eppure, se ci pensiamo un po’, il nero è il colore autentico di questo periodo dell’anno.
Perché le notti sono sempre più lunghe, e i giorni brevi e grigi. La luce poca… ed è per questo che si cercava, un tempo, di compensarla, anzi, evocarla con candele, come a Santa Lucia. Uso che continua nelle luminarie natalizie.
E, poi, è giunto alla porta il segno zodiacale del Capricorno. Che ha
proprio il nero come colore distintivo.

Comunque, a molti l’approssimarsi del Natale induce malinconia. Questo strano umore, un misto di dolcezza e tristezza. Nostalgia, spesso, di un paese, di una casa, di una famiglia.
Nostalgia di un passato che, nella memoria, diventa irrimediabilmente felice. Come dice il nostro amato Leopardi. E fa sentire più acuta l’assenza. Qualcuno che non c’è più. Che si è perduto. Qualcuno che è lontano…

E allora c’è chi si trasforma in un… Grinch, cioè una di quelle persone che per un motivo o per l’altro odiano il Natale e ne detestano le luci, gli alberi addobbati, i suoni, i canti e tutta l’atmosfera della festa natalizia. Pensa di fuggire lontano, ai Caraibi o giù di lì. Dove nulla, proprio nulla, gli ricordi le festività del Natale.

Ma è una fuga inutile. Destinata al fallimento. Come nel film “Fuga dal Natale”, vero successo della cinematografia natalizia del 2004.

Inutile, perché quella malinconia non è causata dalle Feste. Anzi… è piuttosto un sentire, più che un sentimento, che l’attesa del Natale non può essere solo feste, pranzi, regali, sfavillio di luci…

È l’attesa, inconscia, di qualcosa di…superiore. A suo modo, di
prodigioso.

Di una rinascita interiore, che interverrà con quella, solstiziale, del Sole. Qualcosa che resta sepolta nelle nostre profondità. E che affiora come… malinconia.

E allora, a finire, … ancora i versi di Ungaretti:

…Qui
non si sente
altro
che il caldo buono.
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

(Guglielmo Di Bura – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

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