Il crack delle banche venete, a quasi dieci anni dall’avvio delle indagini fa provare nuove amarezze ai risparmiatori in attesa di giustizia. A Treviso viene ingoiata dalla prescrizione l’accusa di truffa ai danni di decine di migliaia di persone, clienti di Veneto Banca, mentre a Roma la Cassazione solleva conflitto di incostituzionalità nel procedimento per la Popolare di Vicenza, riferito alla legittimità di un articolo del codice civile che aveva portato alla confisca dei beni degli imputati per 963 milioni di euro.

TREVISO, LA TRUFFA NON C’E’ PIÙ – Che il processo in corso a Treviso nei confronti dei vertici di Veneto Banca fosse finito su un binario morto, almeno per il reato di truffa, lo si sapeva da più di un anno. In Tribunale è stata ufficializzata la prescrizione con una sentenza di non luogo a procedere, che ha reso vani alcuni anni di indagine sulle modalità con cui la banca prestava denaro dietro sottoscrizione di azioni da parte dei clienti (le famose “baciate”), con il risultato che quando il meccanismo fu scoperto, il valore delle azioni (di tutti) fu polverizzato.

I gabbati dalla gestione dell’istituto di credito di Montebelluna si possono consolare innanzitutto con la condanna, arrivata al secondo grado di giudizio, dell’ex amministratore delegato ed ex direttore generale Vincenzo Consoli (tre anni di reclusione solo per ostacolo alla vigilanza bancaria, mentre aggiotaggio e falso in prospetto sono prescritti). Nel filone parallelo a quello della truffa, con l’ipotesi di bancarotta fraudolenta sono invece in attesa di richiesta di rinvio a giudizio 11 indagati.

RESTITUITI 53,5 MILIONI AGLI IMPUTATI – Era stato il pubblico ministero Massimo De Bortoli ad annunciare, nel luglio 2022, all’avvio del dibattimento pubblico per truffa a Treviso: “È tutto finito, non ci sarà alcun processo. Sapevamo che questo filone di indagine era destinato a chiudersi con un nulla di fatto”. Così è stato, a beneficio di Consoli, dell’ex condirettore generale ed ex responsabile dell’area commerciale Mosè Fagiani e dell’ex responsabile della direzione centrale pianificazione e controllo Renato Merlo. Altri due imputati avevano già usufruito della prescrizione. Così è caduto anche il sequestro conservativo di 53,5 milioni di euro nei confronti di Consoli, Merlo e Fagiani, con l’effetto che le somme saranno restituite agli imputati.

PROCESSO A ZONIN FINISCE ALLA CONSULTA – La Cassazione ha per il momento fermato, al terzo grado, il processo per i fatti della Banca Popolare di Vicenza. Gli imputati sono l’ex presidente Gianni Zonin, gli ex dirigenti Paolo MarinAndrea Piazzetta ed Emanuele Giustini, oltre all’ex manager della banca Massimiliano Pellegrini. La Quinta Sezione penale ha sollevato una questione di legittimità costituzione riguardante l’articolo 2641 del codice civile che “prevede la confisca obbligatoria per equivalente dei beni utilizzati per commettere il reato, per sospetto contrasto col principio costituzionale, convenzionale ed eurounitario di proporzionalità”.

In primo grado, infatti, erano stati confiscati 963 milioni, pari all’entità dei finanziamenti elargiti dalla banca con il sistema delle compravendite “baciate”. Si trattava di una somma virtuale, perché tutti quei soldi non erano nella disponibilità degli imputati, ma corrispondeva al totale dei finanziamenti ritenuti fuorilegge, in quanto utili a gonfiare il valore delle azioni della banca. La Corte d’appello di Venezia, pur condannando, aveva annullato la confisca. Il problema si è riproposto in Cassazione, anche perché il procuratore generale Tomaso Epidendio aveva chiesto di nuovo il provvedimento. Si erano opposti i difensori, tra cui Enrico Ambrosetti, il legale di Zonin: “Avevamo sollevato fin dall’appello la questione, a nostro giudizio è una norma incostituzionale perché permette un’azione abnorme. Avevamo avuto accoglimento della nostra istanza sotto un diverso profilo in appello. Adesso vedremo in Corte Costituzionale”.

In ogni caso lo stop al processo determina la sospensione dei termini di prescrizione dei reati. In appello Zonin aveva avuto la pena quasi dimezzata. Gli erano stati inflitti 3 anni e 11 mesi di reclusione, assieme a Piazzetta e Pellegrini, mentre Marin era stato condannato a tre anni e 4 mesi, Giustini a 2 anni e 7 mesi. La prescrizione futura di alcuni reati porterà a ulteriori riduzioni di pena.

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