Uranico u-rà-ni-co/ SIGNIFICATO Del cielo, celeste; di divinità che dimorano in cielo; incline alle fantasticherie
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Uranico u-rà-ni-co/ SIGNIFICATO Del cielo, celeste; di divinità che dimorano in cielo; incline alle fantasticherie
ETIMOLOGIA da Urano, voce dotta recuperata dal latino Uranus, nome del dio primigenio del cielo, a sua volta dal greco Uranós, personificazione di uranós ‘volta celeste’.
«È una riflessione uranica, di immaginazione fervida.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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In certe parole si scorge l’intenzione di andare sul sicuro. E quelle che hanno un’ascendenza greca nel mito classico sono un terreno particolarmente sicuro, battuto nei millenni, con un prestigio e una diffusione insieme che non hanno uguali — rifugio sicuro nell’invenzione di parole. Di questo, nel pregio e nella critica, si deve tener conto, anche perché tanta sicurezza sconta una certa rigidità, e magari anche una facilità piatta. Prendiamo l’uranico.
La figura di Urano, nel mito, ha un’importanza enorme e sfuggente. La sua pur scarna vicenda — oscura e violenta — è densa di situazioni simboliche che sono state inseguite in sterminati labirinti d’inchiostro. Personificazione del Cielo primigenio, genera insieme a Gea la Terra una prosapia tremenda (Ciclopi, Ecatonchiri, e soprattutto Titani), che imprigiona nell’abisso del Tartaro. Finché suo figlio Crono, con la complicità della madre, non evade e lo evira, deponendolo per sempre. Secondo diverse versioni, il sangue e il membro di Urano danno vita alle terribili Erinni, ma anche ad Afrodite. Di tutta questa complessità archetipica, considerando l’uranico, non ci importa un fico secco. Troppo difficile, involta, complessa, questa faccenda simbolica: le parole che nascono da nomi di persona o personaggio richiedono semplicità e immediatezza.
Insomma, nell’uranico il riferimento a Urano resta scontornato e depersonificato: il greco Uranós è personificazione del nome comune uranós, ‘volta celeste’, e con percorso uguale e contrario l’uranico abbandona la personificazione e torna volta celeste. Si percepisce bene questo ritorno al generico quando parliamo delle divinità uraniche, che è quella classe di divinità — trasversale a una quantità di pantheon d’ogni tempo — che abita il cielo, e che si contrappone alle classi che invece dimorano in altrove più terreni. Ma le divinità uraniche possono anche essere il cielo, partecipare di una natura celeste, e oltre a Urano possiamo pensare anche a Tengri, il Cielo blu eterno adorato dai popoli delle steppe asiatiche, o a Indra, signore del fulmine della religione induista. (Sarebbe interessante notare come la primazia di questo genere di divinità si esprima in particolare in contesti di società nomadi.) Ma l’uranico sa trovare uno spazio ancora più versatile.
È un celeste che non si affretta a implicare anche il beato, e sa colorarsi (indistintamente) di mito. Un’ambizione uranica, una suggestione uranica, un pensiero uranico hanno una levatura somma, superna, e una dimensione che mette radici in cielo. Tant’è che (in continuità astrologica, pare) l’uranico diventa anche l’incline alle fantasticherie: un articolo lepido e uranico è ricco di arguzie estrose, un gruppo uranico sferra idee delle più bizzarre, e il pomeriggio vuoto e piovoso ci lascia in una contemplazione uranica di ciò che si vede dalla finestra.
Una parola con la sua ricchezza, che però attinge alla vena del mito meno di quel che poteva sembrare.
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