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*Il ciuco di mele secche* di Vincenzo D’Anna*

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*Il ciuco di mele secche* di Vincenzo D’Anna*

E’ tempo di bilanci. Vale per le imprese, per le famiglie. Ma vale anche per lo Stato con la discussione, in Parlamento, della legge Finanziaria, il documento contabile e previsionale per le spese che si intendono affrontare nel corso del prossimo anno. Trattasi di due tomi giganteschi, con migliaia di pagine, tabelle e rendiconti che ogni “onorevole” riceve dai solerti funzionari delle Camere. Carte che finiranno, intonse ed ignote, per la maggior parte degli esaminandi, al macero oppure affidata alla critica divoratrice dei topi, lì, nelle capienti e polverose soffitte di Montecitorio o di Palazzo Madama. Parliamoci chiaro: chiunque finirebbe avvilito innanzi alla valanga di dati e cifre che illustrano la complessa manovra economico finanziaria di uno Stato affetto da iperplasia burocratica e da una montagna di debiti. Questi ultimi da oltre mezzo secolo rappresentano il dato distintivo dell’essere di un apparato mastodontico; una mitologica Idra dalle mille teste che, purtroppo, corrispondono anche a mille fameliche bocche. Ma la complessità di quei tomi aiuta anche a confondere il povero parlamentare che scompare dietro quei libroni, finendo così col riporre ogni buona intenzione cognitiva sullo stato dell’arte. Ne consegue che i pochi che hanno letto le carte, anche in minima parte, hanno finito per interpretarle come più gli garba o gli interessa. Il tutto solo per poter sostenere le tesi di plauso (se si è in maggioranza) o di critica (se si è in minoranza). Quello che arriva di tutto quel maloppo ingestibile di conti al cittadino comune è l’eco dei commenti politici che la stampa filtra. Una sintesi manichea e preconcetta a secondo dell’orientamento politico editoriale di chi scrive. E’ così che si procede e si fanno i conti nel Belpaese ogni anno che il buon Dio ci manda. Tuttavia rispetto ai tempi che furono, prima dei famigerati trattati europei di Maastricht e di Lisbona, il bilancio viene analizzato con meticolosità dai funzionari di Bruxelles che ne trarranno un giudizio prima contabile, poi politico. E’ questa la verifica poi temuta dai governi in carica molto più del giudizio dei parlamentari che debbono votare il documento previsionale di spesa dello Stato. Temuta non solo per i vincoli e per gli obblighi che ciascuno Stato membro della Comunità Europea deve rispettare, esistendo una moneta comune ed una Banca Comune che deve tutelarla, innanzitutto tenendo a bada le politiche economiche dei paesi membri e la massa debitoria verso terzi contratta da questi ultimi!! Vada come vada, il senso compiuto, sotto l’aspetto economico generale, è presto detto: niente di nuovo sotto il sole dello Stivale!! I governi si susseguono, con leader e colori politici anche molto diversi tra loro, per impostazione ideologica, ma l’andazzo resta pressoché immutato. Sostanzialmente, si governa lo Stato, sempre quello bolso e ridondante, avido mangiasoldi, utilizzando la leva della spesa pubblica a debito crescente. Insomma continuiamo, con vari espedienti legislativi, a gratificare i contemporanei, che in quanto tali votano e protestano, scaricandone gli oneri, sottoforma di interessi passivi e debito pubblico, sui posteri, quelle generazioni futurem, cioè, che poi dovranno ripianarli. A cominciare dal costo delle pensioni, della burocrazia e della pubblica amministrazione, dello Stato sociale e della rete di protezione sanitaria. Se aggiungiamo a queste spese gli oneri degli interessi passivi su 2,7 miliardi di euro di debito statale ci ritroviamo, semplicemente, come per incanto, di fronte le prime quattro voci di spesa del bilancio statale, che assorbono circa i tre quarti di tutta la spesa prevista!! Un dato inamovibile ed immarcescibile che sopravvive a tutte le stagioni politiche e governative. Certo si dibatterà sulla meritoria riduzione del cuneo fiscale e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, del rinnovo dei contratti di lavoro da tempo scaduti, di più soldi alla sanità cosiddetta pubblica. A proposito di quest’ultima: a gestione diretta ed in regime di monopolio, ogni anno produce disavanzi enormi in gran parte derivanti da gestioni politico clientelari delle Asl, salvo poi puntare l’indice mendace su quella “privata accreditata”, ossia pubblica sì ma gestione privata, che non ha liste di attesa e viene retribuita a tariffe – da fame – e non pagata a piè di lista come accade per l’analogo servizio statale. Insomma, per farla breve: un “deja vu” che si ripete come tradizione pre Natalizia con identica prassi alla stregua di come si è soliti predisporre il presepe, col ministro dell’Economia che porta oro, incenso e mirra ai blocchi social-elettorali più consistenti. Gli altri? Per loro vale la favola del “ciuco di mele secche” che il furbo contadino caricava, in ogni stagione, pesantemente con “soma da slombare anche un manzo” (leggi tasse). L’ingrato padrone del ciuco riuscì finanche ad abituarlo a non mangiare, per ridurre le proprie spese. Salvo poi piangerne disperato la morte per malnutrizione. In questo caso al posto del ciuco leggere “contribuente” che paga le tasse.

*già parlamentare

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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