La siccità fa scomparire il lago Tefé. Dom da Silva: “Il grido dell’acqua è la lacrima dei poveri”
“Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti”, scrive Papa Francesco nella recentissima esortazione Laudate Deum. Ed eccoli, infatti, questi segni, tangibili e concreti, in una delle zone più fragili del pianeta e decisive per il futuro dell’umanità, la foresta amazzonica.
Siamo a Tefé città che prende il nome dal fiume, e dal relativo lago, poco più vasto del nostro lago di Garda, quasi alla confluenza con il rio delle Amazzoni, circa 700 chilometri a ovest dalla capitale dello Stato brasiliano di Amazonas, Manaus. Luoghi che sono tutt’uno con le loro acque. Solo tre mesi fa, le canoe e le piccole barche solcavano le acque azzurre del lago di Tefé per raggiungere le tribù indigene più isolate, mentre i delfini rosa d’acqua dolce saltavano e il bacino lacustre e fluviale svolgeva la funzione che ha sempre avuto: quella di essere l’unico, o quasi, sostentamento per la popolazione della zona, oltre che degli altri esseri viventi.
Lago quasi prosciugato in pochi mesi. Oggi, il panorama è drasticamente e repentinamente cambiato. La siccità che ha colpito l’intera regione dell’Amazzonia brasiliana ha, di fatto, prosciugato quel lago.Le palafitte che sorgono su quelle che erano le sue rive, sono ora “case con i trampoli”, isolate tra la fanghiglia; dove passavano le canoe, ora corrono le motociclette; le carcasse dei delfini e di altre migliaia di pesci, si decompongono sulle sponde. Migliaia di persone, intere tribù indigene, sono diventate irraggiungibili, dato che i corsi d’acqua rappresentano l’unica via di comunicazione.
“Si dice che il grido della terra è il grido dei poveri, e il grido dell’acqua è la lacrima dei poveri”, ci dice il vescovo della prelatura di Tefé, dom Altevir da Silva, che nei giorni scorsi è sceso fino a Brasilia, nella sede della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, per lanciare un accorato Sos, alla Chiesa del suo paese ma anche a tutto il mondo: “Nonostante ci troviamo nel cuore della foresta amazzonica, dove tradizionalmente il clima è umido, non piove da tre mesi. La siccità che stiamo vivendo è la peggiore di ogni tempo. La moria di pesci è impressionante, ed essi rappresentano la maggior fonte alimentare e di sostentamento per le popolazioni locali. Non si può consumare acqua per le attività quotidiane”.
Emergenza alimentare e ambientale. Più in dettaglio, dei 62 Comuni che compongono lo stato di Amazonas, i 10 che compongono la Prelatura di Tefé (Itamarati, Carauari, Juruá, Japurá, Maraã, Fonte Boa, Jutaí, Uarini, Alvarães e Tefé), sono tra i più colpiti dalla siccità. Il vescovo, da pastore che ben conosce il suo gregge enumera tribù e comunità colpite, una per una. Per esempio, nel comune di Maraã 42 comunità sono quasi tutte senza acqua potabile; tra queste, solo quattro possono godere di un pozzo artesiano. Solo nel comune di Tefé, sono isolate 152 comunità, per un totale di 3 mila famiglie.
La mancanza di acqua per il consumo e per le attività quotidiane, a causa dei fiumi e laghi in secca e della contaminazione per il gran numero di pesci morti, comporta grandi rischi per la popolazione fluviale, secondo le informazioni della prelatura di Tefé. Alcuni membri della comunità dovrebbero percorrere migliaia di chilometri in cerca di cibo, e di bacini in cui sia possibile pescare. Sono almeno 15 mila le persone, in gran parte di tribù indigene che vivono quasi isolate, a rischio per l’emergenza di carattere alimentare.
Ancora, oltre il 60% di ciò che dovrebbe essere trasportato sul Rio delle Amazzoni non arriva a destinazione a causa della siccità. La situazione rischia di colpire soprattutto i prodotti più pesanti, prodotti come il riso, i surgelati e i fertilizzanti, che si prevede diventeranno più costosi nella regione.
“Quanto sta accadendo – spiega al Sir – conferma ciò che il Papa scrive nell’ultima esortazione Laudate Deum e nei precedenti documenti. Tutto è connesso, il dramma ambientale diventa dramma sociale e umanitario. Occorre intervenire presto, perché ci sono popolazioni che sono rimaste completamente isolate e senza acqua e sostentamento. Tutto ciò accade, in parte, anche per cause umane, e la stessa siccità è solo uno degli attacchi che la nostra Amazzonia sta subendo, tra incendi, progetti economici, la presenza crescente dei garimpeiros, i minatori illegali, che con la loro attività contaminano l’acqua con il mercurio”.
Alla siccità si aggiungono gli incendi e le miniere illegali. Come non bastasse, la puzza degli incendi, che come ogni anno (cambia solo il livello di “attenzione” giornalistica) devastano enormi tratti di foresta, si diffonde nell’aria e si avverte a Tefé, così come in molte altre località, compresa Manaus. “Siamo a un punto di rottura della Casa comune, come scrive il Papa. La Laudate Deum parla a tutta l’umanità, ma qui la sentiamo più che mai vicina e concreta. Siamo vittime di questi fenomeni e di progetti che hanno dalla loro parte soltanto la forza bruta, siamo davvero dentro a un sistema che uccide, che assolutizza il profitto. L’esortazione chiede una risposta rapida e al tempo stesso profonda e complessiva, profetica, culturale e spirituale”.
Da qui, l’appello del vescovo, in seguito all’iniziativa di solidarietà presa dalla prelatura: “I nostri fratelli e sorelle fluviali stanno attraversando grandi difficoltà in questo momento e hanno bisogno del nostro aiuto al più presto. Per questo, attraverso la Caritas della Prelatura di Tefé, stiamo lanciando una campagna d’emergenza per aiutare a portare acqua pulita e cibo alle comunità che sono più isolate in questo momento. Unendo le nostre forze a quelle di altre istituzioni, faremo tutto il possibile per aiutare i nostri fratelli e sorelle che stanno attraversando queste difficoltà a causa della siccità. Che i nostri cuori di solidarietà e fratellanza siano solidali con le sofferenze della nostra gente, condividendo il poco che hanno e aiutando coloro che soffrono”. Un appello che, attraverso il Sir, giunge anche in Europa. “Il mondo ci deve aiutare”, conclude dom Altevir da Silva.
*giornalista de “La vita del popolo”
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