‘Al microscopio’ una parola al Giorno, oggi analizziamo insieme il vocabolo: ‘Lepido’ (lè-pi-do)
SIGNIFICATO Arguto, spiritoso, spassoso; ameno, piacevole
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino lepidus, legato a lepos ‘grazia’.
- «È un film pieno di battute lepide.»
Di solito sono i caratteri pericolosi e spiacevoli del mondo ad attrarre un gran numero di sinonimi, per essere espressi nelle sfumature più corrette, calzanti, sottili — e quindi più pronte a disinnescarne ed esorcizzare con precisione il pericolo e la spiacevolezza. Ma abbiamo anche alcuni frangenti estremamente gradevoli che concentrano su di sé tante parole differenti con differenti sfumature, al fine di essere descritti in maniera perfetta. Sono frangenti che però non hanno la linearità felicemente gonza della felicità, che non richiede specificazioni: nascondono un contrasto, un rischio, un’aspettativa e anche una certa fragilità, pur se ci si mostrano pienamente godibili. ‘Lepido’ è un aggettivo che vive qui, in bella, bellissima compagnia.
Infatti qui vivono l’acuto, il fine e il sottile, che usano la metafora per dare la consistenza di una forma al pensiero e al discorso che sa entrare di taglio nelle cose; qui vivono l’arguto, lo spiritoso e il frizzante, che divertono con tempismo e motti briosi, ingegnosi; qui vivono il mordace, l’ironico, il satirico, che sanno mettere la mostarda dove ci vuole; e qui vivono anche il faceto, l’umoristico, e l’amena brigata dello scherzoso e del burlesco — in un gran coinvolgimento di risate tanto compassate quanto godute. La valle è quella della piacevolezza divertente.
La fragilità di questi concetti è la loro inafferrabilità: difficile definirne uno senza usare gli altri. A stringere di più per sentire bene che cosa c’è dentro, si rischia farsi sfuggire il punto — abbiamo una magia delicata da proteggere, qui. Il lepido lo fa in maniera eccezionalmente graziosa.
Lo fa in maniera graziosa anche perché il latino lepidus è aggettivo di lepos, che traduciamo proprio con ‘grazia’. Ma in effetti è piuttosto misterioso: è un termine che nell’esperienza antica si spenge con la Repubblica, e ha un’ascendenza incerta, forse collegata a una famiglia indoeuropea di parole che parlano di bucce, foglie, petali — immagini di leggerezza sottile.
Il lepido, attagliato a persone o discorsi o motti, ci racconta un carattere arguto, spiritoso, e lo fa con un registro elevato, ricercato e di garbata simpatia.
Quando le giornate si accorciano terribilmente, un bel tè e un libro lepido ci danno uno spazio di letizia spassosa; l’amico che è un conversatore lepido, l’amica che è una conversatrice lepida sono elementi essenziali e ricercatissimi della compagnia (in un misto di ammirazione e invidia); una narrazione lepida degli eventi è in grado di digerirne l’amaro, e riesce accattivante e piacevole; mentre una battuta lepida è proprio ben riuscita, ingegnosa, intelligente, piena di spirito e ben portata.
Una qualità mondana, che si apprezza fin dalla superficie, e che però offre la profondità di una delle virtù più apprezzate di sempre: la capacità di stare con le altre persone contribuendo con piacevolezza alla compagnia, magari anche con punte di arguzia, in un divertimento ameno. E va notato che, in un registro letterario, il lepido diventa direttamente il piacevole e l’ameno — e ad esempio si può parlare di un belvedere lepido.
Insomma, abbiamo capito che quando la brigata di Robin Hood, con la voce di Little John, canta di «quell’avido, cupido / pavido, stupido / zotico, lepido / stolido, trepido / ladro, rapace ed incapace / d’un re fasullo d’Inghilterra», ‘lepido’ è un intruso lusinghiero, irresistibilmente contrabbandato dalla necessità di rime sdrucciole.