Nel 2022 oltre 1600 casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario
Sono più di 1660 i casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario accertati dall’INAIL nel 2022. Il dato è in aumento sia rispetto al 2021 sia rispetto al 2020, quando l’accesso alle strutture ospedaliere e assistenziali è stato fortemente limitato a causa dell’emergenza Covid-19. La segnalazione è contenuta nell’ultimo numero del periodico Dati INAIL, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, che dedica un focus al fenomeno, precisando che si tratta di un dato parziale perché non comprende i medici e gli infermieri liberi professionisti che non sono assicurati dall’Inail, inclusi i medici di famiglia e le guardie mediche. Anche se in ripresa rispetto al biennio precedente, il dato del 2022 resta al di sotto di quanto rilevato nel periodo ante pandemia. Infatti nel 2018 e 2019 i casi di violenza registrati nel mondo della Sanità sono stati oltre duemila all’anno. Nella maggioranza dei casi gli aggressori sono i pazienti e i loro parenti. Escludendo gli infortuni da Covid-19, che hanno colpito gli operatori sanitari più di qualsiasi altra categoria di lavoratori, circa il 10% degli infortuni occorsi a chi lavora in corsia e riconosciuti positivamente dall’Istituto è riconducibile a un’aggressione, mentre nell’intera gestione assicurativa Industria e servizi la stessa quota si ferma al 3%. In massima parte si tratta di violenze perpetrate da persone esterne all’impresa sanitaria, come i pazienti e i loro parenti, mentre sono molto più contenuti i casi che riguardano liti tra colleghi, pari a circa il 7%, e le aggressioni da parte di animali, subite principalmente dai veterinari, che sono circa il 6%. Un terzo degli aggrediti sono infermieri e fisioterapisti. Nel quinquennio 2018-2022 il 37% dei casi è concentrato nell’Assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi medici), il 33% nei Servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza) e il 30% nell’Assistenza sociale non residenziale. A essere aggredite sono soprattutto le donne, pari a oltre il 70% degli infortunati, in linea con la composizione per genere degli occupati nel settore rilevata dall’ISTAT. Tra le professioni più colpite, i tecnici della salute quali infermieri e fisioterapisti con un terzo degli aggrediti, seguiti dagli operatori sociosanitari con circa il 30% e da quelli socioassistenziali con oltre il 16%, mentre i medici incidono per quasi il 3%. Quasi il 60% degli episodi si è registrato al Nord con la Lombardia e l’Emilia Romagna tra le più colpite. Negli ultimi cinque anni, il 29% delle aggressioni riconosciute dall’Istituto è avvenuto nel Nord-ovest, seguito dal Nord-est con il 28%. Nel Mezzogiorno si concentra un quarto dei casi con il 13% al Sud e il 12% nelle Isole e il restante 18% nel Centro. Gli aggrediti hanno riportato prevalentemente contusioni e distorsioni, in particolare alla testa e agli arti superiori, arrivando a subire ferite o fratture nel 16% dei casi. Tempi di attesa, lavoro in solitaria e contesto socio-economico tra i fattori di rischio. Tra i fattori che influiscono sulla probabilità di accadimento di questi episodi vanno inclusi sia quelli interni sia quelli esterni all’ambito lavorativo, come l’organizzazione ed erogazione dei servizi, i tempi di attesa, il contesto sociale ed economico, la tipologia di utenza, l’ubicazione e le dimensioni della struttura e il lavoro in solitaria.
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