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Il 7 dicembre un’altra udienza al processo d’appello per il delitto di Serena Mollicone – Una sfilza di 44 – tra consulenti e testimoni – per accusa e difesa – di Ferdinando Terlizzi inviato a Roma 

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Il 7 dicembre un’altra udienza al processo d’appello per il delitto di Serena Mollicone – Una sfilza di 44 – tra consulenti e testimoni – per accusa e difesa –

di Ferdinando Terlizzi inviato a Roma 

 

L’altro giorno si è svolta a Roma, presso la Corte d’Assise d’Appello Sezione I^, la seconda udienza per l’omicidio di Serena Mollicone, vicenda nota come “Il giallo di Arce”. Come è noto in primo grado vennero assolti tutti e cinque gli imputati: il m.llo Franco Mottola, all’epoca della morte di Serena comandante della stazione dei Carabineiri  di Arce, la moglie Annamaria, il figlio Marco, il luogotenente Vincenzo Quatrale, l’appuntato Francesco Suprano.

La Corte d’Appello, Presidente Vincenzo Gaetano Capozza, Giudice a latere, Aldo Tiziano La Viola, ha disposto la rinnovazione parziale del dibattimento ed ha ammesso che vengano riascoltati i consulenti tecnici ed alcuni testimoni: in tutto 44 persone.

Le prossime udienze sono previste per il 7, 14 e 21 dicembre; si pensa che il processo si concluderà l’anno prossimo. Si prevede uno scontro acceso fra i consulenti della Procura di Cassino e quelli della Difesa degli imputati già assolti.

Nell’ultima udienza  sono stati ascoltati l’anatoma patologa Cristina Cattaneo, l’ing. Remo Sala e il medico legale Ernesto D’Aloja, tutti consulenti della Procura di Cassino. I primi due per dimostrare che la porta della caserma dei CC di Arce sia stata l’arma del delitto, il terzo per confermare alcune precedenti dichiarazioni.

L’ipotesi della porta quale arma del delitto, cioè, che Serena sarebbe stata spinta da Marco Mottola con forza contro di essa, per svenire e poi essere avvolta con nastro adesivo e trasportata nel bosco di Fontecupa dal m.llo Mottola e dalla moglie, è cara alla Procura di Cassino, ma è stata  demolita in primo grado dal team del criminologo Carmelo Lavorino, composto dal medico legale Giorgio Bolino, dall’ing. Cosmo di Mille, dallo psicologo forense Enrico Delli Compagni, dall’avv. Alessandra Carnevale, dalla dr.ssa Giusì Marotta e da altri specialisti.

“Una delusione completa, non fanno che ripetere  i soliti argomenti ammettendo che non vi è alcuna certezza – hanno  dichiarano Lavorino e Delli Compagni –  Di fatto non hanno dimostrato un bel nulla e stanno continuando a vagare nel deserto dopo esserci entrati anni or sono. Dichiariamo ancora una volta che la porta non è il mezzo lesivo, che hanno messo su una teoria senza prove, un vero e proprio sarcofago investigativo-giudiziario, contenente solo cenere: non hanno la fermezza di ammettere di avere sbagliato. Hanno tentato di suggestionare la Corte con spezzoni di fil americani e do telegiornali che la porta possa essere l’arma del delitto, ma sono naufragati nel mare dell’incertezza. Hanno parlato solo di compatibilità e mai di certezze. È incredibile!”

 

In aula c’erano sei imputati, mancava solo la signora Mottola. Le Difese erano tutte presenti. Per la famiglia Mottola gli avvocati Francesco Germani, Piergiorgio Di Giuseppe, Mauro Marsella ed Enrico Meta. Per Francesco Suprano gli avvocati Cinzia Manzini ed Emiliano Germani. Per Vincenzo Quatrale gli avvocati Francesco Candido e Claudio Arpino.

L’avvocato Marsella difensore dei Mottola ha posto un quesito sul calco della mano di Marco Mottola, eseguito per studiare la compatibilità/sovrapponibilità con il foro sulla porta. La Cattaneo ha dichiarato che “sarebbe stato trovato in tribunale solo uno di questi calchi”. Allora, cosa è successo si è chiesto l’avv. Marsella, uno dei due calchi sarebbe andato perso?

Ci dice il collegio difensivo dei Mottola: “Questo è un processo che nemmeno doveva iniziare, stanno mettendo sulla graticola cittadini innocenti contro i quali non ci sono indizi, anzi, ci sono solo indizi a favore della loro totale innocenza. Basti pensare che le impronte digitali dell’assassino o di un suo complice non sono degli imputati, che la porta non è l’arma del delitto, che Serena mai è entrata in quella caserma, che abbiamo smontato l’intero impianto accusatorio”.

Ci dicono Mottola padre e figlio: “Che ci possiamo fare? Possiamo solo difenderci, provare ancora una volta la nostra innocenza, annullare ogni accusa. Speriamo che prima o poi riescano a trovare il vero assassino della povera Serena, così anche lei avrà giustizia, ed anche i suoi familiari che per motivi a noi ignoti si stanno accanendo contro di noi da anni, dopo essersi accaniti contro Carmine Belli”.

 

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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