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Rastrelli digitali

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Se d’estate l’incubo è quello di dover tagliare il prato, in autunno il tagliaerba cede il posto al rastrello, perché il foliage, tanto romantico e variopinto, alla fine precipita inesorabilmente a terra, ricordandoci la caducità della vita, o almeno l’ermetica poesia di Giuseppe Ungaretti.
Proprio quella del rastrello è la familiare e rassicurante immagine scelta in un recente convegno dal prof. Roberto Battiston, ordinario di fisica sperimentale all’Università di Trento e ottimo divulgatore scientifico, per far comprendere a noi comuni mortali come funzioni l’intelligenza artificiale, tema (che si vorrebbe) di inquietante attualità e a cui, sollecitati dagli amici del Festival Biblico, anche la Voce dedica il focus di questa settimana.
Confesso che sentir paragonare al lavoro di un umile rastrello la capacità di trovare ed elaborare dati di calcolatori elettronici sempre più sofisticati, per quanto tranquillizzante, è risultato quasi deludente. Per noi, figli di una generazione cresciuta sognando e temendo il giorno in cui un robot avrebbe manifestato imprevedibilmente una vita propria sino a violare le tre celebri leggi della robotica (formulate dal padre della fantascienza Isaac Asimov) e rivoltandosi contro l’essere umano, l’idea che una macchina generi testi di senso compiuto (come nel caso della tanto discussa ChatGPT) solo perché le abbiamo insegnato a tenere in mano un rastrello nel vasto prato del web è quasi la caduta di un mito. Perché in fondo è fondamentalmente questo ciò che, almeno ad oggi, l’intelligenza artificiale è in grado di fare: raccogliere e rielaborare dati, secondo protocolli definiti dallo stesso essere umano, generando testi di senso compiuto e in genere dai contenuti corretti ed esaustivi (anche se sempre da verificare), ma totalmente mancanti di quell’originalità, di quel guizzo creativo che resta appannaggio della mente umana e dunque dell’intelligenza naturale.
L’intelligenza artificiale è “compilativa” e per quanto generativa di contenuti, non pare ancora esserlo di idee innovative. La macchina, potremmo dire, guarda al passato, a ciò che già esiste, può ripeterlo e rielaborarlo; l’uomo invece, per sua natura, tende al futuro ed è in grado di avere visioni di realtà totalmente nuove.
Tutto questo non deve condurci a sminuire l’importanza dell’apporto positivo che l’intelligenza artificiale può portare e sta già portando alla nostra vita, come pure a non sottovalutare i rischi che tali nuove tecnologie portano con sé. Certamente l’intelligenza artificiale può sostituirsi all’uomo velocizzando e perfezionando calcoli complessi, ma se utilizzata come scorciatoia comoda alla fatica del pensare con la propria testa, potrebbe costituire una seria minaccia alla capacità di ragionamento, di pensiero critico e dunque alla possibilità stessa del darsi della verità e della tenuta della democrazia. Davanti a tali scenari (in parte già realtà, ad esempio nel generarsi automatico di contenuti politici sempre più polarizzati sui social) la tentazione a volte potrebbe essere quella di sognare un “neo-luddismo digitale”: distruggere le macchine prima che le macchine distruggano la nostra capacità di pensare. Ma se la cosa non funzionò con i telai meccanici della prima rivoluzione industriale, c’è da dubitare che possa essere utile prendere a calci i nostri computer o scagliare contro il muro il nostro smartphone. Forse basterebbe ricordarsi di spegnere a volte questi dispositivi, non correre a interrogare “l’oracolo digitale” al primo dubbio epistemologico o esistenziale e cercare invece risposte dentro di noi. Anche perché se chiedete all’intelligenza artificiale quanti anni ha il nostro vescovo, vi risponderà che Attilio Nostro, vescovo di Tropea, ha 57 anni.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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