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Cammino sinodale. P. Vianelli (Cei): “Le famiglie hanno contribuito a regalare alla Chiesa uno sguardo sui ‘lontani’ e sui loro bisogni”

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Chiesa come famiglia di Dio nel mondo (Benedetto XVI, Deus caritas est, n.25); famiglia come “Chiesa domestica”, secondo l’immagine del Concilio; Chiesa come “famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche”, la definizione di Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, n. 87. Una reciprocità innegabile. Quale può essere allora il contributo delle famiglie, in quanto soggetti pastorali ed ecclesiali, alla missione della Chiesa e, nello specifico, al percorso del Sinodo? Intanto, per intraprendere il processo sinodale con le famiglie, il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha predisposto un breve strumento destinato a diocesi, parrocchie, movimenti e associazioni, dal titolo “Spunti di riflessione per un cammino sinodale con le famiglie”. “Pur essendo una realtà ricca di potenzialità e di strumenti, capace di una proposta alternativa a questo tempo di solitudine e individualismo – dichiara al Sir padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei – mi sembra che la famiglia abbia smarrito un po’ del suo linguaggio, del suo lessico, e faccia fatica a mettere a terra le risorse che naturalmente possiede”.

foto Ufficio Cei pastorale della famiglia

A che cosa allude, in particolare?
Forse per una sorta di analfabetismo relazionale, per mancanza di tempo, per le sfide complesse da affrontare, il dialogo in famiglia è faticoso e non sempre di qualità. Le famiglie appaiono ” sfidate” e impaurite e, come afferma lo psicoterapeuta Matteo Lancini, nell’epoca del post narcisismo i genitori, pur dotati di maggiori strumenti e risorse dei propri genitori e pur avendo dedicato più tempo all’ascolto dei figli di quanto non siano stati essi stessi ascoltati, fanno fatica a coglierne i reali bisogni.

Entra probabilmente in gioco il fenomeno dell’adultescenza, della crescente fragilità di molti adulti e della loro incapacità di essere autentiche figure di riferimento per i figli. 
Sì, sono molto concentrati sulle proprie aspettative a fronte di figli investiti della responsabilità di far star bene i genitori, di corrispondere alle loro esigenze. Forse

la sfida educativa si è ingrippata perché i ragazzi oggi vivono non tanto la trasgressione adolescenziale, quanto piuttosto la delusione.

Un tempo l’adolescente trasgrediva le regole per poi in qualche modo assumerle; oggi gli adolescenti appaiono delusi da quanto hanno di fronte, dalle loro prospettive di vita, mancano di speranza. Mentre la trasgressione contiene una radice di speranza – la volontà di cambiare il mondo – la delusione blocca, fa in qualche modo retrocedere.

Quale può essere in questo scenario il ruolo della Chiesa
La famiglia che si trova ad affrontare queste sfide trova talvolta una Chiesa che non è pronta a supportarla, che magari preferisce prendere in carico gli adolescenti e i giovani senza però creare alleanze con la famiglia stessa. Chi si occupa di pastorale giovanile, se vede una famiglia disorientata o disfunzionale tende spesso a “sollevare” i genitori dalla responsabilità educativa creando “strutture” alternative ad essa senza dare vita, invece, ad un’alleanza educativa con questi stessi genitori, bisognosi anch’essi di trovare spazi di espressione, sostegno e accompagnamento.

Sinodo e famiglia, anzi sinodalità e familiarità, sono stili convergenti nel chiamare a vivere processi di dialogo, confronto e decisione coniugando l’orizzontalità con la verticalità dei rapporti?

Nella vita familiare esistono indubbiamente aspetti sinodali:

il fatto che le cose vengano decise insieme fa emergere il tema dell’ascolto e del confronto, ma anche quello della coniugazione, né semplice né idilliaca, tra l’ascolto dell’insieme e la decisione finale da parte dei genitori. Non si tratta di lotte sindacali, contrapposizioni o rivendicazioni. La sfida diventa allora la costruzione di un ascolto “democratico”, che preveda al tempo stesso l’assunzione della responsabilità delle decisioni da parte di qualcuno. Un modo di procedere e ragionare che rispecchia la dimensione ecclesiale. All’interno della Chiesa esiste infatti una comune dimensione che nasce dal battesimo, ma anche una asimmetria del vescovo rispetto alla comunità; a lui compete la decisione finale, passata però attraverso la dimensione dell’ascolto.

In Amoris laetitia (n.138) il Papa pone la famiglia all’intersezione tra la Chiesa e il mondo affermando che Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, con la forza dell’amore.
E’ la grande sfida della famiglia come Chiesa in uscita, ma non so quanto questo aspetto sia passato nel processo sinodale. La famiglia sta prendendo sempre più coscienza di questo suo essere Chiesa in uscita, frontiera e luogo di confronto e di incontro. Mentre la Chiesa fatica a raggiungere i lontani, la famiglia in uscita attraverso il lavoro, la scuola, le relazioni, la cura, abita il territorio e questi “lontani” li incontra offrendo alla Chiesa una lettura e un ascolto “mediati” di questa realtà. Pur non essendo state esplicitamente convocate come categoria,

la partecipazione delle famiglie al cammino sinodale ha certamente contribuito a regalare alla Chiesa uno sguardo sui “lontani” e sui loro bisogni.

Quindi la famiglia potrebbe costituire un ponte tra Chiesa e “lontani”?
È difficile intercettarli; spesso non hanno interesse ad essere contattati, ma un ascolto di quella realtà è entrato nel cammino sinodale proprio grazie ai cristiani – tra cui le famiglie – che abitando alcuni spazi di questo mondo lo hanno incontrato e hanno provato a raccontarlo. Penso che la famiglia potrebbe davvero aiutare la Chiesa ad avvicinarsi alle periferie esistenziali, a quelle “lontananze” nei confronti delle quali potrebbe forse fare da ponte.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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