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Argentina: al primo turno in vantaggio i peronisti con Massa. Ma il 19 novembre sarà un’altra partita

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Pochi se lo aspettavano, i sondaggi non lo prevedevano. Invece, al primo turno delle presidenziali di Argentina, è andata in onda la “remuntada”, peraltro non risolutiva, dei peronisti e del loro candidato, Sergio Massa. Ministro dell’Economia in un Paese virtualmente in default e con un’inflazione al 140%, Massa l’uomo scelto due volte “per pura disperazione” (un anno fa come ministro, quindi come candidato quasi “di bandiera”, sicuro perdente) si presenta invece, in vantaggio di quasi sette punti, con il suo 36,28% (circa dieci punti in più rispetto ai sondaggi) sul candidato ultraliberista e di estrema destra Javier Milei (a capo di “La libertad avanza”), favorito della vigilia, che con il suo 29,98% non è riuscito a superare la soglia psicologica del 30%. Il 19 novembre, però, sarà un’altra partita, comunque incerta, poiché è difficile pronosticare cosa faranno gli elettori di “Juntos por el cambio”, il partito liberale di centrodestra, rappresentato dall’ex governatrice di Buenos Aires Patricia Bullrich (23,83%), fino a qualche mese fa grande favorita, e ora costretta al ruolo di “ago della bilancia”, tra due alternative comunque scomode: l’unità delle attuali opposizioni contro la sinistra, oppure una sorta di “coalizione repubblicana”, come chiede Massa, promettendo un Governo di unità nazionale contro il “loco”, il “pazzo” Milei.

La sorpresa Massa. “La coalizione di governo Unión por la Patria, il peronismo, è ancora in corsa per cercare di vincere le elezioni del 19 novembre, considerate perse tre mesi fa – commenta da Buenos Aires Gabriel Puricelli, coordinatore del Laboratorio di politiche pubbliche -. Dopo una carriera politica di tre decenni piena di zig-zag ma che ha puntato fin dall’inizio sulla cuspide del potere, Massa ha sconfitto sia gli avversari che le aspettative”.

Cosa aspettarsi nelle prossime settimane? Lo scontro sarà duro e il ballottaggio resta, comunque incerto. “Si può pensare che Massa abbia la capacità di estendere il suo consenso e di raccogliere nuovi voti, ma per lui non sarà comunque facile – pronostica Puricelli -. Faccio fatica a pensare a una ‘coalizione repubblicana’ sull’esempio francese. La contrapposizione tra peronisti e liberali è stata fortissima”.

In ogni caso, “Massa è riuscito a uscire dal confronto testa a testa proposto da Bullrich e ha iniziato a convincere che Milei rappresenta una minaccia autoritaria. Con questa strategia discorsiva e un’intensa mobilitazione dei governatori provinciali peronisti, è riuscito a ricostruire lo status di prima minoranza che il partito al governo aveva perso. Il compito che lo attende, con un’economia che non sarà fonte di buone (e forse di cattive) notizie nelle prossime quattro settimane, è quello di raggiungere il 50% dei voti. La sorpresa di essere arrivato primo potrebbe non bastare: avrà bisogno di almeno una parte dei voti ottenuti da Bullrich, oltre alla totalità di quelli ottenuti dagli altri candidati minori. Il mantra con cui cercherà di attirare il sostegno che gli manca è quello dell’unità nazionale. Con questo, da un lato, apre uno spazio in un futuro governo per coloro che sono rimasti fuori dalla corsa; dall’altro, delinea tacitamente un’autocritica della situazione lasciata dal Governo”

Milei, candidato “spiazzante”. Di Milei si è scritto molto. E, alla fine, sarà soprattutto di lui che si continuerà a parlare. Tra le sue proposte, il taglio indiscriminato della spesa pubblica. Spesso, nei comizi, si è presentato con una motosega, proprio per accreditarsi come l’uomo del grande “taglio”. E, al tempo stesso, come colui che è destinato ad azzerare “casta”, gli altri partiti. Tra le sue proposte, anche quella di rinunciare a debolissimi pesos, sempre più “carta straccia” a causa della forte inflazione, per adottare il dollaro statunitense come moneta. Negazionista su cambio climatico e sul Covid-19, il suo ultraliberismo lo ha portato a fare dichiarazioni in favore del commercio di organi. Gira con quattro mastini, e il capostipite, ora morto, viene regolarmente contattato con l’ausilio di una medium. Con il suo look stravagante, ha inondato negli ultimi due anni i talk show radiotelevisivi e il web, insultando un po’ tutti, a partire dall’argentino più importante al mondo, Papa Francesco (una polemica leggermente mitigata negli ultimi giorni di campagna elettorale). Accanto a lui, la candidata vicepresidente Victoria Villarruel, deputata conservatrice vicina al partito spagnolo Vox e al mondo militare, con qualche nostalgia per la stagione della dittatura.

I motivi di un clamoroso consenso. “Milei si può definire un anarco-capitalista – spiega ancora Puricelli -. Viene accostato al brasiliano Jair Bolsonaro, ma anche se i due occupano lo stesso spazio elettorale, ci sono delle differenze non da poco. Dietro a Bolsonaro c’è una realtà sociale ed economica massiccia, ci sono settori delle Forze armate, forti interessi e lobby. Milei è, appunto, un anarchico. Il suo elettorato è comporto da due categorie di persone. C’è un nocciolo duro, ideologico, di estrema destra. Formato soprattutto da giovani, molti con meno di 23 anni, perlopiù maschi, di alto livello sociale. Un mondo visceralmente antifemminista che presenta vari elementi di razzismo, protagonista di qualche episodio di squadrismo. Questo elettorato si è fuso con ampi strati di popolazione che vivono un malessere sociale molto diffuso, del resto la mancanza di sicurezza sociale è oggi una costante a livello occidentale. In Argentina, per motivi storici, questo disagio ha un’ulteriore caratteristica. È vero che stiamo celebrando il quarantesimo anniversario della fine della Giunta militare e del ritorno alla democrazia, ma questa fase storica non è stata caratterizzata da una promettente ascesa sociale, come invece è accaduto in Europa”. Milei, però, ieri è rimasto fermo ai numeri delle primarie di tre mesi fa. E questo non è per lui promettente in vista del ballottaggio. La strada obbligata, per lui, sarà avvicinarsi alla destra più moderata di Juntos por el Cambio (tra l’altro largamente in testa a Buenos Aires, sia per il governatore della Provincia che della zona metropolitana).

Il fattore religioso. Incognite anche su quello che potrebbe essere il “fattore religioso”, visti i già citati attacchi di Milei a Papa Francesco. “In realtà – prosegue Puricelli – la religione nelle elezioni argentine non è tradizionalmente un fattore determinante”. È anche vero, però, che mai si era sentito un esponente politico, come l’economista Alberto Benegas Lynch, collaboratore di Milei, proporre di rompere le relazioni diplomatiche con il Vaticano, poiché “esprime uno spirito totalitario”. “Dichiarazioni fatte a titolo personale”, ha detto, bontà sua, il candidato presidente. La Conferenza episcopale argentina, prima delle elezioni, ha affermato di non voler sostenere alcun candidato, “ma in nessun modo rinunceremo alla vocazione primaria di annunciare il Vangelo nella libertà”, ha precisato il presidente, mons. Oscar Ojea. Qualche giorno prima, i “curas villeros”, i sacerdoti che prestano servizio nella periferia di Buenos Aires avevano promosso una Messa in riparazione agli oltraggi subiti da Papa Francesco. “Crediamo che la divinizzazione del mercato porti alla disumanizzazione, dimenticando i più deboli”, avevano sostenuto i sacerdoti nell’occasione.

(*) giornalista de “La vita del popolo”

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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