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Attualità

A Caivano lo stato deve muoversi, ma con testa DI GIAN CARLO CASELLI

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A Caivano lo stato deve muoversi, ma con testa

DI GIAN CARLO CASELLI

12 SETTEMBRE 2023

Nessun dubbio. Di fronte al degrado di Caivano e ai gravi fatti conseguenti lo Stato non può restare ancora inerte. Deve metterci la faccia. Ma non è la faccia giusta quella che esprime ferocia per rassicurare l’opinione pubblica, pur sapendo che la strada indicata non serve a nulla. Riflettiamo sul processo minorile. Se ne aggiornino alcuni meccanismi, ma non si stravolga l’approccio coi minori col rischio – come usa dire – di buttare via il bambino con l’acqua sporca.

La ratio del processo minorile è ontologicamente diversa da quella del processo a un maggiorenne, perché la maggior parte dei minori autori di reato non ha già maturato una identità delinquenziale, ma è, per definizione, ancora in una fase di normale ricerca di una propria identità. Caratteristica strutturale del processo minorile è perciò la previsione di strumenti che consentano, una volta accertato il reato e la riconducibilità al minorenne, di calibrare le risposte istituzionali. Detto con franchezza, senza giri di parole, l’obiettivo è far uscire il minore quanto più presto possibile dal circuito penale, per scongiurare il rischio che siano proprio le istituzioni a “bollarlo” come delinquente, consolidandone l’identità negativa. Molto spesso, infatti, si ha a che fare con ragazzi che sì, hanno sbagliato, ma che, ancora privi di un’identità consolidata, hanno bisogno di essere aiutati (anche con autorità!) sulla strada dell’integrazione sociale. Il sistema minorile vigente si ispira quindi al principio generale della punizione come extrema ratio.

Innanzitutto, prima dei 14 anni la capacità del minore di intendere e di volere, cioè di comprendere il significato delle proprie azioni e di autodeterminarsi, è oggi esclusa, per cui non è imputabile chi nel momento del fatto non aveva ancora raggiunto questa età. Fra i 14 e i 18 anni la capacità di intendere e di volere non è mai presunta (come per il maggiorenne), ma deve essere provata di volta in volta. Ecco perché il giudice minorile può anche prosciogliere l’imputato per immaturità. Altre possibilità di proscioglimento sono quelle per irrilevanza o tenuità del fatto o per perdono giudiziale (una sola volta e in casi particolari).

In caso di condanna, la pena edittale (cioè stabilita nel codice) è diminuita rispetto a quella per gli adulti. Invece, è ampliata l’applicabilità della sospensione condizionale della pena. Quanto alle misure cautelari, per il minore ne sono previste di specifiche: l’affidamento ai servizi sociali, la permanenza a casa e il collocamento in comunità fino alla custodia in carcere in un apposito istituto minorile, dove la componente educativa prevale sulla vigilanza. Inoltre, le ipotesi di applicabilità e i tempi di durata delle misure cautelari sono ridotti rispetto all’imputato maggiorenne.

Lo strumento “principe” del processo minorile è la messa alla prova (MAP). Per qualunque reato e anche più volte, per un periodo non superiore a tre anni, il giudice può sospendere il processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minore. Questi viene affidato ai servizi per le opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Il giudice può impartire prescrizioni secondo una progettualità specifica, coinvolgendo anche la famiglia. Centrale è l’impegno del minore, chiamato anche a “regalare” parte del suo tempo alla collettività in attività socialmente utili.

In conclusione, il processo minorile è modulato per recuperare il giovane, offrendogli opportunità di crescita che prima non aveva avuto come proprio la commissione del reato ha evidenziato. Se pensiamo agli strumenti intellettivi che può avere un sedicenne studente di liceo rispetto a un coetaneo che abbia interrotto gli studi in terza o quinta elementare si comprende bene di cosa stiamo parlando.

Questo, però, non significa “giustificare” le condotte di reato commesse o sminuirle banalizzandole come “ragazzate”. Ogni condotta, anzi, deve essere considerata con la massima serietà, sempre. Essa infatti rivela quantomeno un bisogno formativo, da parte del ragazzo o della ragazza, a volte un’atroce sofferenza che richiede risposte capaci sia di contrastare il rischio di altre violazioni, sia di scoprire e far emergere i propri “talenti”.

Purtroppo, dei “talenti” esiste anche una declinazione perversa e oscena. Per esempio quella della mafia, che impiega sistematicamente nel traffico di droga ragazzini sotto i 14 anni, proprio perché oggi non sono punibili. La mafia, diceva bene Peppino Impastato, “è una montagna di m…a”. È questa montagna che bisogna innanzitutto aggredire.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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