Venezia80. In Concorso “Io Capitano” di Matteo Garrone e “Origin” di Ava DuVernay
Ottavo giorno alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. In gara c’è Matteo Garrone con il suo “Io Capitano”, film che mette a tema il viaggio della speranza di due giovani africani del Senegal attraverso il deserto per raggiungere le coste della Libia e imbarcarsi poi verso la “terra promessa”, l’Europa. Un racconto che fonde realismo con lampi di poesia e fantastico, in linea con la sua cifra stilistica: tra “Gomorra” e “Pinocchio”. Un cammino di formazione di due adolescenti che in breve tempo perdono il candore dell’età verde assaggiando il sapore della vita, condita di note aspre e amare. Un film riuscito: dolente, ma non disperante. In Concorso c’è anche lo statunitense “Origin” di Ava DuVernay, autrice di “Selma. La strada per la libertà” (2014). Con “Origin” la DuVernay racconta la vita e l’impegno della scrittrice Premio Pulitzer Isabel Wilkerson. Uno sguardo ampio e acuto sulle discriminazioni della nostra società, di ieri e di oggi. Infine, un riferimento al maestro Giuliano Montaldo nel giorno della sua scomparsa all’età di 93 anni. Il ricordo di Massimo Giraldi per il grande regista genovese, autore di “Sacco e Vanzetti”, “Marco Polo” e “L’Industriale”. Il punto Cnvf-Sir.
“Io Capitano” – In Concorso
Romano classe 1968, il regista-sceneggiatore Matteo Garrone nel corso degli ultimi vent’anni si è imposto nel panorama europeo come uno degli autori italiani più apprezzati. Tra i suoi titoli, spesso incoronati al Festival di Cannes, si ricordano: “L’imbalsamatore” (2002), “Gomorra” (2008), “Reality” (2012), “Il racconto dei racconti” (2015), “Dogman” (2018) e “Pinocchio” (2019). Il suo cinema sembra muoversi tra sguardi sociali foschi, criminali e, al contempo, suggestioni fantastiche. A Venezia80 si presenta con un progetto e uno stile pressoché “inedito”: il suo film “Io Capitano” – scritto insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri – è una fotografia epica dei continui viaggi attraverso l’Africa, il deserto, alla volta del mare e dunque del sogno chiamato Europa. Una coproduzione italo-belga che vede tra i partener Rai Cinema; il film è nelle sale italiane da giovedì 7 settembre.
La storia. Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) sono due adolescenti che vivono in un villaggio del Senegal, nei pressi di Dakar. Di nascosto dai genitori, lavorano come manovali per mettere da parte i soldi per finanziarsi il viaggio in Europa. Sognano di poter far musica e aiutare a distanza le loro famiglie. Nel cuore della notte scappano di casa e accettano, pagando generosamente, di unirsi a una comitiva di esuli diretta al porto di Tripoli. Ma già durante la difficile traversata del deserto i sogni vacillano e la realtà irrompe sulla scena.
“Per realizzare il film – ha dichiarato il regista – siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale”. Matteo Garrone chiarisce bene il taglio del suo film “Io Capitano”: l’autore si concentra sulle realtà di appartenenza dei giovani migranti e sul difficile percorso che compiono, sia come traversata geografica sia come viaggio interiore, un percorso destinato a segnarli e a spingerli brutalmente nell’età adulta.
Garrone posiziona la macchina da presa ad altezza di ragazzo, seguendo in particolare la prospettiva di Seydou, un giovane così amato in famiglia da non essere convinto di volersene distaccare. Un ragazzo che durante le avversità e le asprezze della traversata nel deserto non abdica mai ai valori di umanità e solidarietà. E anche quando si trova faccia a faccia con le torture nelle prigioni libiche o davanti alle minacce degli scafisti, non cambia atteggiamento.
“Io Capitano” si pone su un binario narrativo già abitato al cinema, si veda il bellissimo “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi; Garrone, però, lavora su una chiave tematica originale, soprattutto personalizzando qua e là il racconto con la sua marca stilistica. L’autore convince soprattutto nel modo in cui lavora con i giovani attori, spingendoli a dare il meglio in termini di spontaneità e naturalezza; inoltre, risparmia allo spettatore immagini scioccanti e violenze insistite. Lascia parlare, con intensità, principalmente gli occhi dei due ragazzi. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.
“Origin” – In Concorso
Californiana classe 1972, la regista, sceneggiatrice e produttrice afroamericana Ava DuVernay si è imposta in ambito cinematografico e televisivo nell’ultimo decennio con titoli di richiamo: “Middle of Nowhere” (2012, premio regia al Sundance Film Festival), “Selma. La strada per la libertà” (2014, Oscar miglior canzone “Glory”), “XIII emendamento” (2016, doc candidato agli Oscar) e la serie “When They See Us” (2019, Netflix, candidato agli Emmy). La regista, che da sempre è in prima linea nel raccontare la discriminazione razziale, con il suo ultimo film “Origin” compone una riflessione vasta e articolata sulle radici del “male”, sulla connessione delle varie forme di odio (discriminazioni, antisemitismo, razzismo e violenze) con il ruolo delle caste nelle società. Un film che prende le mosse dalla biografia della scrittrice Premio Pulitzer Isabel Wilkerson e del suo libro “Caste: The Origins of Our Discontents” (2020).
La storia. Stati Uniti, oggi. La scrittrice Isabel Wilkerson dopo aver pubblicato un libro di successo è spinta da una serie di avvenimenti a cimentarsi su un nuovo libro che esplora il concetto di storico di casta nei vari continenti, legandolo alle manifestazioni più drammatiche e clamorose di discriminazione.
“La storia della realizzazione di questa pellicola rispecchia il viaggio della protagonista all’interno del film. Isabel Wilkerson trova la bellezza nel coraggio, nell’ignorare i detrattori e nel trasformare il trauma in trionfo”. Così Ava DuVernay nel parlare del suo film “Origin”, un progetto che coraggiosamente sembra tradurre sullo schermo il saggio sociologico della Wilkerson. La regista compie uno sforzo incredibile nel rendere accessibile e coinvolgente un testo denso, complesso, che annoda i fili della Storia e accomuna i peggiori traumi dell’umanità. All’inizio la narrazione appare non del tutto a fuoco, quasi ondivaga, ma con il progredire del racconto l’opera trova compattezza, intensità e persino poesia. Un film che fonde denuncia e resilienza, dolore e speranza, quella speranza che nasce dal guardare in faccia il male e cercare di indicare un percorso educativo per le nuove generazioni. Segnato da qualche lungaggine, il film “Origin” è un’opera importante e di grande suggestione. Film complesso, problematico, per dibattiti.
La nota critica di Massimo Giraldi. In ricordo di Giuliano Montaldo
“Sorpresa e tristezza alla Mostra – dichiara Massimo Giraldi, presidente Cnvf – nel ricevere la notizia della morte del regista, sceneggiatore e attore Giuliano Montaldo. Genovese classe 1930, Montaldo ha avuto una carriera molto importante nel cinema italiano, non sempre riconosciuta doverosamente in termini di premi. Tra i suoi titoli più noti: “Tiro al piccione” (1961), “Una bella grinta” (1965), “Sacco e Vanzetti” (1971), “Giordano Bruno” (1973), la miniserie Rai “Marco Polo” (1982-83) e negli ultimi anni “I demoni di San Pietroburgo” (2008) e “L’industriale” (2011). Montaldo, però, era anche un generoso attore che si metteva a disposizione di altri registi. Tra i ruoli che l’hanno fatto maggiormente entrare nel cuore del pubblico c’è quello dell’anziano professore Giorgio nel film “Tutto quello che vuoi” (2017) di Francesco Bruni, che gli ha permesso di conquistare un David di Donatello e un Nastro d’argento. Giuliano Montaldo se ne va dopo aver vissuto una vita piena, sul set e in famiglia. Un maestro gentile e ironico, sempre caratterizzato dal sorriso e dall’innata eleganza”.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)