*La Chiesa e il mondo ripensino a Ratisbona* di Vincenzo D’Anna*
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*La Chiesa e il mondo ripensino a Ratisbona*
di Vincenzo D’Anna*
E’ di queste ore la notizia, a dir poco raccapricciante, di un imam di Birmingham che in un video, diventato virale, spiega come lapidare a morte un’adultera!! Zakaullah Saleem, questo il suo nome, in un sermone, ha impartito circostanziate “nozioni” di come si punisca una donna rea di aver tradito il marito. Il religioso (si fa per dire) ha invocato l’arcaico e crudele metodo di ammazzarla a colpi di pietre, debitamente interrata in una buca (fino all’altezza della vita), perché questa sarebbe la punizione dovuta, secondo la legge della sharia, per chi ha avuto una relazione extraconiugale!! Ora, innanzi ad analoghe circostanze, come riportato dal Vangelo, Gesù di Nazareth ebbe ad opporsi all’assassinio della adultera, proferendo la famosa frase: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, stabilendo, in tal modo, un solco profondo tra la giustizia degli uomini e quella praticata secondo l’amore e la misericordia di Dio. La notizia dell’imam inglese ci riporta al periodo in cui la Jihād Islamica (la guerra santa) insanguinava i paesi musulmani, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia al Marocco fino all’Egitto, arrivando a toccare anche le democrazie occidentali. Queste ultime attaccate perché ritenute “blasfeme” per i costumi e gli stili di vita, oltre che per il voler professare un altro credo religioso. Gli assalti furono portati da schiere di terroristi, vere e proprie bande di fanatici che arrivarono a trucidare anche altri musulmani ritenuti non aderenti alla missione della “guerra santa”, oltre ai cristiani e più in generale a chiunque altro credesse in una fede diversa. Che dire? Da questa gente ci separa un divario enorme nel concepire non solo la religione ma anche la tipologia dello Stato nella quale essa stessa si dovrebbe praticare: uno Stato non confessionale, che non obbedisca cioè ai dogmi della fede ma alla laicità delle leggi scelte dalle istituzioni democratiche e liberamente elette dal popolo. Tra le due fedi sembra esserci quindi una barriera invalicabile, non solo dal punto di vista teologico ma anche per le ricadute che esse hanno a livello politico e sociale sul popolo dei fedeli. La guerra santa è imperversata (e ancora imperversa, purtroppo, come i recenti casi in Pakistam – dove oltre 80 case e 19 chiese sono state distrutte a fine agosto in seguito ad accuse di blasfemia contro il Corano – dimostrano) per anni spaventando a morte gli “infedeli”, profanandone i loro templi, sgozzando ed uccidendo tutti coloro i quali non volevano allinearsi al portato di quel “credo violento”. Ci sono voluti anni per eradicare l’organizzazione terroristica di al-Qaida che, capeggiata da Bin Laden, ha dato vita a violenti attacchi in Europa e negli Usa con migliaia di vittime innocenti, a cominciare dall’attentato contro le “torri gemelle” di New York l’11 settembre del 2001. Una lunga scia di crudeltà, con devastazioni e vere e proprie guerriglie per destabilizzare i paesi musulmani moderati e colpire quelli di casa nostra, per instaurarvi governi teocratici che applicassero la legge coranica. Una legge piuttosto spicciola, che non riconosce né la parità di genere, né la civiltà giuridica ed i diritti umani. Sostanzialmente una legge del taglione che si riconduce al vecchio motto “occhio per occhio, dente per dente”. Ed è innanzi a tanto scempio ed a tanta divergente visione del mondo (e della religione) che il 12 settembre del 2006 papa Benedetto XVI decise di tenere il celebre “discorso di Ratisbona”, per puntualizzare, in modo garbato ma fermissimo, come fede e tradizione cristiana non fossero conciliabili con l’Islam. La differenza non consisteva solo nel ripudio della violenza per affermare ed imporre il proprio credo, quanto nel voler riconoscere, con la diffusione del cristianesimo, il contributo fornito dalla Chiesa nella nascita stessa della nostra civiltà con tutto il suo corollario giuridico. In sintesi: Ratzinger volle rivendicare le radici cristiane sulle quali erano stati edificati gli Stati moderni e liberi, il rispetto assoluto per i diritti dell’uomo e la pacatezza della nostra fede. Da fine teologo ed intellettuale, il Pontefice tedesco spiegò al mondo intero che quanti si attardavano a cercare una sintesi di comodo tra i due modelli, sia fideistici che “politici”, stavano perdendo tempo ed incoraggiando i malvagi ed i violenti a continuare nella loro azione. Benedetto mise a tacere il falso ecumenismo degli “atei devoti” che inneggiano alla Chiesa solo quando essa deroga ai propri principii, e le teorie dei pacifisti ad oltranza che cercano sintesi di comodo con chi invece usa la violenza. Eppure dopo quel discorso non furono poche le voci di dissenso che si levarono alte. Le classiche “voci”, per intenderci, del “politicamente corretto”, che contengono l’equiparazione delle fedi a prescindere da quel che esse propongono sia sul piano religioso sia su quello sociale, con i loro precetti. Quelle insomma di chi critica il crocifisso ed il presepe esposti nelle scuole italiane, salvo poi farsi il bagno con indosso i vestiti, quelli che omologano quel che loro conviene come frutto del progresso sociale. Purtroppo al soglio di Pietro, dopo Benedetto, è asceso un Papa molto sensibile al “politicamente corretto” e quel che ne consegue, unica prerogativa a salvarsi è la povertà, con buona pace per la dottrina complessa ed universale della Chiesa. Un Papa mai diventato tale che farebbe bene a rileggerlo quel discorso e farne tesoro.
*già parlamentare
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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