IL POTERE NEL TERZO MILLENNIO di Vincenzo D’Anna*
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IL POTERE NEL TERZO MILLENNIO
di Vincenzo D’Anna*
Chiunque consulti un vocabolario troverà, alla parola “potere”, una classica definizione: “facoltà di fare secondo la propria volontà, se il potere è riferito ad una persona; oppure la facoltà di azione attribuita dall’ordinamento giuridico ad organi determinati: legislativo, esecutivo, giudiziario (se il riferimento è ad una istituzione politica)”. Nell’immaginario collettivo il potere è percepito quasi sempre negativamente, come l’esercizio esclusivo ed autoritario di una scelta o di una decisione in capo alla politica oppure agli apparati statali. Tuttavia tale “autorità” è inevitabile e neutra al tempo stesso, dal momento che ovunque c’è una responsabilità a dover scegliere deve esserci anche la possibilità di decidere e quindi di esercitare il “potere” per poterlo fare. Senza il potere chi governa una nazione, un’industria, una comunità, un’istituzione laica o religiosa che sia, non potrebbe esercitare alcuna funzione operativa. Eppure, a fronte di ciò, alla parola si accosta sempre un pregiudizio, uno stereotipo negativo che ne mette in dubbio la bontà. Certo esistono categorie di pensiero – filosofico oppure politico – basate sulla cancellazione del potere stesso all’interno di società immaginate prive di organismi di comando e di gestione. La storia ha catalogato queste società come utopistiche, prive di vincoli organici e di doveri sociali. Mondi in cui ciascun individuo esercita liberamente ed anarchicamente un potere personale avulso da qualsiasi raccordo sociale ed istituzionale. Tutti però sappiamo che senza esercizio del potere non è possibile governare la società, edificare il bene comune, garantire la pace sociale sotto l’imperio delle leggi, i diritti e le libertà dei cittadini. E’ attraverso le decisioni che il potere legislativo e quello esecutivo assumono democraticamente, che si sviluppa la società. D’altronde a cosa servirebbe la sovranità popolare, espressa con il libero voto, se questa non servisse a selezionare chi debba esercitare o meno il potere stesso? Insomma, questi per essere consegnato a qualcuno che lo eserciti, ha bisogno sempre della legittimazione che gli deriva dal consenso democratico proveniente dal voto, oppure da previsioni normative approvate dalle assemblee parlamentari. Nonostante tale semplice e palmare evidenza la parola continua ad incutere un senso di sospetto e di timore nella gente comune, dove sovente viene associata alla parola “regime”, ossia ad una condizione illiberale e coercitiva, potenzialmente negatrice della libertà e dei diritti civili. Un cono d’ombra persistente, un sospetto atavico che il filosofo K.R. Popper era solito fugare con la considerazione che nelle società liberali e democratiche non è tanto necessario sapere chi debba comandare, quanto come si debba controllare chi comanda. Al potere quindi si contrappone (e lo bilancia) il sistema delle garanzie costituzionali e dei diritti di cui gode ciascun individuo. Nonostante questo, non è comunque raro registrare un incremento delle opinioni negative tra gli “amministrati” che si è vieppiù accentuato nel terzo millennio. L’incremento della diffusione di questa mentalità e della disaffezione alle azioni compiute del potere costituito corre, infatti, in parallelo con l’incremento dei mezzi di comunicazione e di informazione a disposizione di ogni singolo individuo, ossia la possibilità di attingere al fiume di notizie diffuse dai social e dall’assenza di riflessione, verifica ed approfondimento che le accompagna. Insomma: un qualunquismo dilagante che illude larghi strati di popolazione che sia loro diritto e pretesa dubitare sempre e comunque di quanti li rappresentano, pur avendoli scelti attraverso il voto. In genere nelle democrazie gli eletti somigliano, per pregi e difetti, a coloro che li hanno designati nel segreto dell’urna. Pare, infatti, che gli Italiani rivendichino il diritto all’errore, quando votano, e quello alla critica verso chi hanno scelto una volta chiuse le urne, come caratteristica ontologica del Belpaese. Insieme a questa “italica incongruenza”, sorge un’altra e più dura riflessione: il potere ai tempi nostri, è ancora lo stesso? Chi lo esercita può abusarne ancor di più che nel passato, si può esercitarlo trasformandolo in quel regime tanto temuto ed esecrato? Stando a quel che si vede in giro – degrado culturale, disimpegno politico e sociale, egoismo, narcisismo e relativismo etico imperante – c’è da chiedersi se sia rimasto il potere di vecchio stampo ad ingenerare questo sfacelo etico e cognitivo oppure ci siano altre e nuove forme di potere invasive e pervasive che stanno incidendo sui modi di vivere degli abitanti dello Stivale, rimodellandone la mentalità ed i costumi. In parole povere: la nuova etica cosiddetta “emancipante”, il pensiero unico che favorisce la denatalità a favore di una fertilità ormai tecnica, l’aborto sempre più facile, l’omogenitorialità, la soppressione dei generi, il sesso liquido, l’eutanasia, la maternità surrogata, sono imposte da un nuovo tipo di potere? . E cosa dire del matrimonio “queer” ossia tra persone dello stesso sesso? O del modello di famiglia allargata, composta da più persone, che non condividono un legame di sangue ma di astratti valori? Insomma: questa nuova cultura che vuole imporsi come necessaria, in quanto moderna ed avveniristica, ci condiziona come il deprecato “potere” di vecchio stampo ? E’ questo il nuovo volto del potere, quello che ci costringe a difendere i nostri modi di essere, i principii e le nostre radicate convinzioni? Ebbene la gente tutto questo non lo percepisce come un pericolo per le proprie libertà né lo riconosce in quanto tale. Non subirlo in silenzio, intimiditi da questo nuovo potere, è la sfida del domani per gli uomini liberi.
*già parlamentare
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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