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Attualità

Il  “Supercapitalismo“ visto da Robert B. Reich, ministro del lavoro durante la presidenza Clinton, e professore di Pubblica Amministrazione a Berkeley e autore di diversi libri. Riflessioni di Innocenzo Orlando

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Il  “Supercapitalismo“ visto da Robert B. Reich, ministro del lavoro durante la presidenza Clinton, e professore di Pubblica Amministrazione a Berkeley e autore di diversi libri.

Riflessioni di Innocenzo Orlando

Confesso che ogni giorno di più mi sento un estraneo in questo mondo, un sopravvissuto, un alieno e mi dico vabbè succede a tutti coloro che come me hanno superato i “50” ed è sempre successo… per la serie: Fatti da parte!

Poi leggo Diego Fusaro: non sono d’accordo su tutto ma su molto; rileggo Pasolini con la sua premonizione assai attuale sul mondo che spariva e su quello nuovo che si affacciava e rifletto, rifletto continuamente e mi trovo a dolermi e a condividere.

Solo il mio connaturato ottimismo e la voglia di vivere mi distolgono.

Una cosa principale si affaccia inesorabilmente tutti i giorni: quasi tutti i nostri valori collettivi si sono disciolti come neve al sole e sostituiti dall’universale Entità superiore, di norma denominata “Dio”, che tutto ormai pervade, che nella sostanza di identifica nei soldi; basti pensare a quanto asserito a Giovanni de Tetzeil nel XVII sec.: “la monetina nella cassetta fa salire in cielo l’anima benedetta”.

Quelli che un tempo, il mio tempo e quello dei miei genitori, si usavano per vivere e per vivere il meglio possibile ma non intaccavano più di tanto la sfera dei valori condivisi.

E noi figli degli anni 60 e 70 pensavamo a un mondo diverso, non certo al mondo attuale, dove c’erano pregiudizi e costumi da abbattere ma in nome della giustizia e di una nuova cultura che doveva colorare in meglio il quadro della società.

Non è stato così!

Oggi tutto è Dio denaro all’insegna del principio utilitaristico: “mordi e fuggi”.

La politica, incapace di qualsiasi analisi, e legata indissolubilmente a fatti di gossip; oggi la Santanchè, ieri il figlio di La Russa, domani chissà.

L’economia è ormai inesistente e schiava della finanza speculativa ove tre o quattro fondi danno le carte e tutti, dico tutti, dobbiamo eseguire.

La politica serva della grande finanza, il giornalismo incapace di svolgere la benché minima funzione critica, gli intellettuali ormai a cicli di un quinquennio riciclati nello spoyl sistem culturale.

Insomma viviamo in un vile mercato globale che ci ha assegnato il ruolo di consumatori silenziosi.

E noi ci siamo adeguati.

E onestamente non vedo vie d’uscita né possibili rivoluzioni culturali.

Chi ha la mia età per fortuna gode degli affetti familiari e di alcuni amici, con la “A” maiuscola, con il quotidiano rischio di divenire ostaggio di sirene di omerica memoria seppur attualizzata, ma pur sempre mere illusioni.

Ma fuori di questo siamo solo numeri da consumo.

Ho finito di leggere in questi giorni “Supercapitalismo“ di Robert B. Reich, ministro del lavoro durante la presidenza Clinton, e professore di Pubblica Amministrazione a Berkeley e autore di diversi libri.

Lui fa una linea di confine dal dopoguerra fino alla presidenza Reagan e il dopo, il prima capitalismo democratico e il dopo supercapitalismo. Una riflessione mi ha colpito a proposito della netta diversità tra gli amministratori delegati del primo periodo e quelli attuali. I primi dovevano avere presente il bene della loro company ma contemporaneamente il bene della nazione e delle comunità che la componevano, i secondi hanno solo due padroni: gli azionisti e i consumatori e noi abbiamo due anime, come consumatori vogliamo prezzi sempre più bassi e prodotti di qualità ma come cittadini ci lamentiamo dell’abbassamento dei diritti.

Le due cose non stanno insieme purtroppo e il mercato ha vinto. Sic!

Il capitalismo è diventato più sensibile alle nostre richieste in quanto consumatori, ma la democrazia è sempre meno sensibile alle nostre richieste collettive in quanto cittadini.

Riducendoci a macchine da consumo indotto.

Fino agli anni settanta la concorrenza era limitata e poche le grandi compagnie che si dividevano il mercato; per fare un esempio l’industria meccanica americana aveva tre grandi player, Ford, GM e Plymouth, il mercato locale aveva il suo commercio locale; poi la concorrenza ha allargato il mercato con decine se non centinaia di compagnie di tutto il mondo e, sempre per fare un esempio, il commercio locale è ora dominato da grandi catene come Wal Mart. In Europa lo stesso, i grandi produttori di automobili sono molti e di tanti paesi, il negozietto sotto casa ha chiuso ed è stato sostituito dagli shopping, quei grandi e mostruosi inferni della modernità. Ma questo non ha solo cambiato il nostro sistema produttivo e commerciale ma anche le nostre vite.

Una volta che il mercato globale ha conquistato il mondo è cambiata anche la nostra vita e le nostre prospettive future. I giovani sono in gran parte ignoranti, non conoscono la storia, non conoscono la geografia nel senso più ampio del termine, non conoscono la grande letteratura e quindi vivono del presente senza passato, non vedono il futuro, non sanno, non capiscono, non sono interessati se non al loro iphone e ai soldi per sentirsi appieno consumatori.

Chiaramente sto generalizzando, conosco giovani di grande valore.

Ma la società è questa ob torto collo. Io certamente non vedrò il mondo futuro se non quello prossimo ma credo non sarà migliore di quello che ha vissuto la mia. Ai posteri l’ardua sentenza.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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