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Ecuador: dopo primo turno di elezioni presidenziali e parlamentari, il ballottaggio sarà tra il “mondo” di Correa e quello “bananero”

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Una partita “doppia”: è quella che vede protagonista l’Ecuador, dove ieri si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali e parlamentari, anticipate dopo le dimissioni del presidente uscente Guillermo Lasso, in un contesto di “debolezza” della politica che certo non aiuta ad affrontare l’altra partita, quella più importante, contro la violenza e il narcotraffico, i veri “padroni” dell’Ecuador, come è risultato drammaticamente chiaro negli ultimi mesi e in campagna elettorale, in particolare con l’assassinio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio, giornalista noto per le sue inchieste contro il narcotraffico e la corruzione.

Ballottaggio tra il “mondo” di Correa e quello “bananero”. Partiamo dai risultati. Come previsto, sarà il ballottaggio a decidere il prossimo presidente della Repubblica. Al primo posto, come indicavano i sondaggi, Luisa González, candidata della sinistra dell’ex presidente Rafael Correa, che affronterà la sorpresa di ieri, il trentacinquenne Daniel Noboa, espressione del mondo finanziario, imprenditoriale e “bananero”, figlio del magnate Álvaro, che per cinque volte aveva tentato vanamente la corsa presidenziale. Per lei, però, non sarà una passeggiata. Il suo 33% circa (mentre lo scrutinio è ancora in corso) è superiore ad alcuni sondaggi, ma lontano dal 40%, la quota che sarebbe stata sufficiente per una vittoria al primo turno, secondo la legge elettorale ecuadoriana. È fresco il ricordo delle presidenziali del 2021, quando, dopo il primo turno, si sommò tra gli elettori l’avversione contro l’ex presidente, in sella per dieci anni e poi “costretto” a restare in “esilio” in Belgio, di fronte alle inchieste per corruzione. Lo sbiadito Guillermo Lasso, un presidente che certo non passerà alla storia, sommò i voti di destra, centro, una parte del mondo indigeno. Da quel momento – e dopo la netta vittoria alle Amministrative dello scorso anno – Correa sogna la rivincita, anche se non in prima persona, diversamente dal brasiliano Lula e in analogia, invece, con il boliviano Evo Morales. L’esito, però, è tutt’altro che scontato: certamente qui la “izquierda” non può già brindare, come è invece accaduto, sempre alle presidenziali di ieri, in Guatemala, con la storica vittoria dell’outsider Bernardo Arevalo.

Dal vasto ventaglio degli oppositori è uscito, dunque, Noboa. Il suo 24%, è una base di partenza ben superiore alle attese. L’offerta era più che mai vasta: l’ex vicepresidente dell’Amministrazione Moreno (2017-2021), Otto Sonnenholzner, e l’indigenista Yaku Pérez (le delusioni di ieri, con un risultato sotto il 10%); l’ex mercenario Jan Topic, per alcuni il “Bolsonaro”, per altri il “Bukele” ecuadoriano, arrivato al 14%; infine, l’altra grande sorpresa, il giornalista Christian Zurita, che ha preso il posto del defunto Villavicencio ed è arrivato al terzo posto con il 15%.

I possibili “giochi” verso il 15 ottobre. Da Cuenca Damiano Scotton, padovano, docente di Relazioni internazionali all’Università dell’Azuay, spiega: “González, anche nel dibattito televisivo, era apparsa scialba, con poche proposte e programmi, ma il suo risultato rappresenta lo zoccolo duro di Correa. Altri sono cresciuti nel corso della campagna elettorale, in particolare Noboa, a sorpresa. Molti si aspettavano che l’affermazione potesse arrivare da Topic che ha fatto una campagna sulla sicurezza e sulla mano dura. Personalmente, anche se i vari candidati erano molto diversi tra loro, credo sia prevedibile al ballottaggio del 15 ottobre una riedizione del ‘tutti contro Correa’ già visto nel 2021. Ci sono, a mio avviso, le condizioni per una convergenza tra Sonnenholzer, Topic e Noboa”. Topic si è subito espresso a favore di Noboa in vista del ballottaggio. In una giornata, ieri, che non ha segnato particolari denunce e conflitti nel Paese, va però registrato il “collasso” del sistema per il voto dall’estero. “Faccio appello della comunità internazionale al Consiglio nazionale elettorale: è preoccupante la denuncia di molti migranti ecuadoriani a Caracas, negli Stati Uniti, in Canada e in Europa, per l’impossibilità di esercitare il diritto di voto”, segnala Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani.

Clima di violenza. Molto si è scritto, anche in Europa, su questo appuntamento elettorale vissuto nel pieno dell’escalation di violenza, che ha oggettivamente condizionato le elezioni, con l’uccisione di un candidato (per dare l’idea, nel Continente gli unici precedenti di un fatto simile riguardano la Colombia e il Messico), ma anche con una sparatoria che ha interrotto il comizio finale di Noboa. “Difficile, però – prosegue Scotton –, dire quanto questa situazione abbia pesato nel risultato. Certamente, c’è una diffusa situazione di insicurezza, sulla quale hanno giocato vari candidati, in particolare Topic e Sonnenholzer”. Resta intatta la forte impressione per una campagna elettorale vissuta in un clima di terrore, con omicidi politici eccellenti, e una realtà che pone l’Ecuador come fondamentale snodo del narcotraffico e punto di partenza della cocaina, prodotta in Colombia e in altri Paesi andini, verso l’Europa, in forte connessione con i cartelli messicani, la mafia albanese e la stessa ‘ndrangheta calabrese, come documentato da varie inchieste giornalistiche.

Un presidente debole? È possibile, in questo contesto, che un eventuale presidente eletto soltanto sommando i voti “contro” Correa sia, come Lasso, un leader alla fine debole, senza una maggioranza solida, incapace di affrontare in modo efficace i grandi poteri internazionali, sia economici che criminali. Giuseppe Tonello, già direttore generale della più grande ong del Paese, il Fondo ecuadoriano “Popolorum Progressio”, da Quito, dà voce a quel mondo cattolico di base che in questi anni non ha cessato di vedere in Correa un fattore di innovazione: “È una mia semplice opinione che l’Ecuador non riuscirà a sconfiggere i narcoterroristi e a superare l’attuale situazione di ingovernabilità finché non sarà capace di dare un giudizio critico sereno e serio sui 10 anni di governo di Rafael Correa, che ha messo in discussione i grandi poteri economici e mediatici del Paese”.

Il parco nazionale Yasuní “libero” dal petrolio. Senza dubbio, il ballottaggio metterà a confronto due visioni di Paese e due modalità di rapporto con il mondo economico. In ogni caso, un importante e storico punto fermo è stato posto dai cittadini ecuadoriani, che sempre ieri si sono espressi in un referendum senza precedenti per fermare lo sfruttamento petrolifero dei giacimenti situati nel parco nazionale Yasuní, considerato il cuore dell’Amazzonia ecuadoriana e uno degli epicentri mondiali della biodiversità. Il 59,14% degli ecuadoriani ha votato “sì” alla cessazione delle operazioni del Blocco 43-Itt, all’interno del territorio amazzonico. Un successo per le organizzazioni indigene, ma anche per la Chiesa ecuadoriana, che ha sostenuto con forza in queste settimane le ragioni del referendum.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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