14 stazioni per ripercorrere le paure, le fragilità, le solitudini della generazione post-pandemia
(da Lisbona) Cercano di arrampicarsi sui tralicci in ferro dell’immensa struttura azzurra. Salgono per poi cadere giù. Afferrano le prese ma le braccia si staccano sotto il peso della fatica. La via crucis della Gmg si apre con questa coreografia. Un quadro realizzato per esprimere in musica e movimento la frequenza con cui i giovani si trovano incapaci di realizzare i propri sogni, non importa quanto ci provino. Si parte con il peso dei fallimenti, con la fatica delle salite e lo strappo che scaraventa giù. “Ci viene tolto il futuro quando è difficile vedere le opportunità, quando non si riesce a trovare un lavoro, quando l’accesso alla istruzione è impossibile”. “Colina do Encontro”, Parque Eduardo VII. Dopo la festa di ieri, questa sera a Lisbona cala il silenzio e i giovani mostrano il volto delle loro fragilità. Paura, depressione, sgomento per i cambiamenti climatici, violenza. I “temi” delle meditazioni sono il frutto di una planetaria consultazione che attraverso il dicastero per i laici, ha coinvolto 20 giovani dei cinque continenti.
Il quadro cambia e sul palco vengono rappresentati diversi scenari di violenza, alcuni dei quali spesso non sono evidenti. Non c’è solo la guerra, l’odio prende la forma degli abusi sui minori, degli abusi di potere, la violenza domestica, il bullismo, l’uso di parole che diventano macigni. Alla terza stazione i giovani escono di scena, tranne una ragazza, che resta solo sull’immensità del palcoscenico. È Esther, spagnola, 34 anni. La sua è una storia di solitudine attraversata anche dall’esperienza di un aborto volontario. “Decidemmo di interrompere la gravidanza, pensando che il bambino non fosse ancora una persona. Mai mi ero sentita tanto vuota. Qualcosa era morto dentro di me”. Esther racconta come ha saputo, anche grazie alla famiglia, al futuro marito, riconoscere la presenza sempre fedele di Gesù e come questa esperienza l’abbia aiutata a riscoprire la gioia e la voglia di vivere.
La Via crucis prosegue. “Ti immagino caduto a terra, Signore, ti immagino mentre mi dici, io cado con te per rialzarmi con te, camminiamo insieme”. “Oggi il mondo è pieno di esclusione, talvolta anche all’interno della Chiesa, talvolta dentro i nostri cuori”. Vengono ricordate le vittime dell’intolleranza. Tutti coloro che nel mondo sono costretti a tacere ciò che vogliono dire, e a dire ciò che invece non credono. “Insegnaci, Signore, ad essere costruttori di ponti ovunque ci troviamo”. Dalla struttura in ferro, vengono srotolati dei drappi bianchi in ricordo del panno di lino con cui la Veronica ha asciugato il volto di Gesù. “Lasciamoci interrogare dal volto dell’altro anche se sfigurato”.
Nella stazione in cui Gesù cade per la seconda volta, i giovani danno voce a tutti quei ragazzi e quelle ragazze che soffrono di ansia, depressione e burnout. E non hanno nessuno che li aiuti. “Ero al secondo anno della Facoltà quando è iniziata la pandemia”, racconta João, 23 anni del Portogallo, “e la vita di tutti i giorni, che pensavamo fosse garantita, ha lasciato posto a un giorno dopo l’altro fatto di paura, dubbi e pieni di realtà artificiali”. João sprofonda in un vortice profondo che lo porta addirittura a dover ricorrere al pronto soccorso. Un isolamento silenzioso, un isolamento emotivo, che l’assenza di mascherine non è riuscito a tacere. Di solito la persona che soffre di più è quella che non si sente accolto”.
Gesù cade per la terza volta. La caduta, il fallimento, la solitudine dietro gli schermi dei cellulari. È questo il filo che unisce le storie dei giovani. Cicatrici di una pandemia che è stata vinta dal punto epidemiologico ma ha segnato le storie dei ragazzi, nello stesso modo e in tutto il mondo. “In prossimità del diploma di scuola superiore, i miei genitori hanno vissuto un divorzio orribile e il mio mondo è andato fuori controllo”, racconta Caleb, 29 anni, dagli Stati Uniti d’America. “Sono sprofondato nella depressione, ho lottato con l’autolesionismo, sono diventato tossicodipendente e ho desiderato di porre fine alla mia vita. Ho lasciato che il dolore mi portasse ad abbracciare i miei desideri egoistici. Tutto ciò che conoscevo era scomparso e non avevo alcun senso dell’orientamento. La mia testa era in un posto così buio a causa di tutto il dolore e cercavo una ragione per vivere”.
Ma c’è un altro volto della “solitudine”. È quella di “quanti vivono intrappolati nella tirannia dell’immagine, cercando di essere qualcuno che non siamo, usando filtri e pose studiate”. È la denuncia della cultura del “mi piace” e della felicità misurata sul numero dei “like”. “Narcisismi che ci lasciano soli su isole lontane”. Alla dodicesima Stazione – la stazione in cui muore Gesù – cala il silenzio. I giovani si rivolgono verso la Croce, contemplandola. Sulla spianata della Colina, tutto tace. È il silenzio di Gesù sul Calvario e il silenzio che si è diffuso sulla terra appena è spirato. “Oggi conta solo chi è produttivo. Gli anziani non contano, i disabili non contano, i sognatori non contano. Tuttavia, ciò che salva è l’amore”. E quando Gesù si ritrova tra le braccia della Madre, è “la Parola che riposa nel silenzio”. “Signore, non devo e non voglio sapere ma voglio capire cosa conta sapere per essere migliore e costruire un mondo più umano”. Il cimitero, la fine. “Sembrava che tutto fosse finito, tante volte nella nostra vita sembra che non ci sia futuro, abbiamo paura a guardare avanti, vediamo solo il percorso bloccato. È qui che dobbiamo sentire la voce di Maria, che ci indica che i punti di arrivi sono punti di partenza e che l’apparente albero di inverno si appresta a fiorire in primavera”.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)