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Attualità

Il nichilismo climatico* di Vincenzo D’Anna*

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Il nichilismo climatico*

di Vincenzo D’Anna*

Sono ancora “caldi” i tempi del Covid, sia per l’immane numero di decessi provocati dalla pandemia, sia per la nascita – su larga scala – di un vasto fronte anti scientista formato da gran numero di “scienziati” che, in quei mesi bui, si sono affrontati (più che confrontati) sul piano delle teorie da essi stessi propalate. Teorie fatte di vedute divergnti, sprovviste di riferimenti epistemologici secondo i canoni e la prassi che assoggetta ogni idea di scienza alla verifica da parte di terzi supervisori delle pubblicazioni. Manchevoli, insomma, per buon parte, anche di prove di fallibilità, di riproducibilità, sperimentali e statistiche. Quelle cosiddette a “doppio cieco”, ovvero con un campione di persone non noto, assoggettato a placebo. Non c’è da meveravigliarsi di tutto questo per il semplice fatto che il mondo scientifico, in uno con gli abitanti della Terra, si è trovato innanzi ad un morbo sconosciuto. Che si sia trattata di una trasmissione classica per un salto di specie (dall’animale all’uomo), oppure il frutto di una manipolazione da laboratorio sfuggito poi al controllo dei ricercatori, poco conta se non ai fini epidemiologici. Quel che drammaticamente contava era la mancata conoscenza del meccanismo d’azione del virus, nonché l’assenza di risposte da anticorpi del nostro organismo innanzi all’attacco di un patogeno sconosciuto prima di allora. In questa condizione per i primi mesi si è navigati a vista con una pluralità di supposizioni che hanno creato profondi contrasti tra gli esperti. L’uso dei social, ormai capillarmente diffuso, ha peggiorato la situazione, portando la disputa fuori dai suoi naturali ambiti di discussione scientifica, con un intero esercito di agguerriti “esperti” che ha iniziato a pontificare sulla base di semplici notizie diffuse sui social, come se la discussione riguardasse una materia accessibile a tutti, alla stregua di un mero fatto di cronaca. Altro dato negativo è stato quello della comparsa, nei vari programmi televisivi, di improvvisati virologi, che mischiandosi a quei pochi che quotidianamente praticavano, sul campo, la professione di epidemiologo, hanno immeritatamente goduto di fama e ricchezza, pubblicando libri e riscuotendo gettoni per le loro comparsate sul piccolo schermo. Insomma: un gran polverone che non pochi problemi ha provocato a coloro i quali avevano la responsabilità di proteggere la popolazione dalla malattia. Peggio ancora con gli “scienziati del giorno dopo”, i quali, una volta apprese le notizie di recenti scoperte , accusavano poi le autorità di non aver provveduto, oppure aver provveduto diversamente, come se le autorità avessero l’obbligo della premonizione. Un simile guazzabuglio non poteva non creare, in un popolo tanto ignorante quanto polemico come il nostro, forzature politiche e polemiche speciose con ricadute elettorali. Insomma la vicenda scientifica diventava solo un pretesto per dividere amici elettori dai nemici non elettori. Un portato storico che non ci ha certo fatto onore né sul piano della coesione sociale, né su quello dei rapporti tra cittadini ed istituzioni, men che meno per la credibilità della comunità scientifica nazionale. Ma se pensate che il peggio sia ormai alle spalle, vi sbagliate di grosso. La querelle Covid, infatti, potrebbe tragicamente ripetersi anche per quanto riguarda il dibattito in corso sul cambiamento climatico, ossia nel campo di una scienza, quella ambientale, che spesso si ritrova affidata a persone sbagliate come i meteorologi. Una confusione di fondo molto pericolosa che, per analogua, può essere spiegata con l’esempio della differenza che intercorre tra uno storico ed un giornalista. La climatologia, infatti, è la scienza che studia l’evoluzione del clima attraverso i secoli; la meteorologia si basa invece sull’osservazione della cronaca a beve termine oppure quotidiana. Illudersi, pertanto, di comprendere l’andamento delle temperature e quello dei cicli terrestri senza avere studiosi del nostro passato come, ad esempio, i paleontologi (che si occupano delle ere geologiche) oppure i biologi ed i fisici, equivale a compiere un errore madornale. In disparte le molteplici autorevoli dichiarazioni di scienziati di grande prestigio (Zichichi, Prodi, i premi Nobel Rubia e Clauser ) che denegano che sia l’opera dell’uomo a determinare il cambiamento climatico, addebitandolo ai cicli dell’attività del Sole e delle ere Glaciali. Insomma: per saperne di più, proprio come sarebbe dovuto accadere ai tempi del Covid, bisogna affidarsi alle competenze professionali specifiche e come tali più idonee a studiare fenomeni climatici secolari. In ogni caso è prevedibile che, da un lato, dietro la moda green (i contemporanei) possa crearsi un blocco di interessi economici e politici e dall’altro, dietro il filone degli studiosi storici, possa vedere la luce un movimento protestatario di stampo minoritario. Una dicotomia scientifica bella e buona, che rischia di tradursi in antinomia sociale e culturale. Insomma: siamo all’avverarsi del monito di Nietzsche riferito alla “gaia scienza”, con il rischio di diventare nichilisti, di non credere, cioè, più a niente. Né alla scienza, né alle sue evidenze.

 

*già parlamentare

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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