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Cammino sinodale: Cei, “aprire strade da percorrere perché tutti abbiano posto nella Chiesa”

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“Proseguire nel percorso avviato, rafforzando l’esercizio del discernimento a partire dai temi e dalle domande proposte nelle Linee guida e indicando decisioni possibili, impegni, aspetti ancora da sviluppare”. E’ l’obiettivo delle Linee guida per la fase sapienziale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia , diffuse oggi. “Queste Linee guida, facendo tesoro del biennio narrativo – sottolinea il Consiglio episcopale permanente nell’introduzione al documento – gettano un ponte verso la fase profetica, incamminando le Chiese in Italia verso un discernimento operativo che prepari il terreno alle decisioni, necessariamente orientate a un rinnovamento ecclesiale e mai introverse; anche quando l’attenzione è puntata sulla vita interna delle nostre comunità, il pensiero è sempre quello estroverso della missione: rendere più agili alcune dinamiche ecclesiali (dottrinali, pastorali, giuridiche, amministrative) per rendere più efficace l’incontro tra il Vangelo, energia vivificante e perenne, e l’umanità di oggi”. Soprattutto in un tempo in cui “i lavori sinodali si intrecciano con i problemi e i drammi di ciascuno, che sono i problemi e i drammi del mondo: gli strascichi sanitari, economici e sociali della pandemia, il clima di guerra tragicamente ravvivatosi, le crisi ambientali, occupazionali, esistenziali. Un senso di precarietà e di smarrimento avvolge molte persone e famiglie nel nostro Paese”. Il testo – che si arricchisce di alcune infografiche – contiene infine il Cronoprogramma con l’agenda delle tappe e degli appuntamenti che condurranno all’apertura della fase profetica nel maggio 2024.

“Aprire strade da percorrere perché tutti abbiano posto nella Chiesa, a prescindere dalla loro condizione socio-economica, dalla loro origine, dallo status legale, dall’orientamento sessuale”,

uno degli obiettivi del terzo anno del Cammino sinodale. “Nelle narrazioni del biennio di ascolto – si legge a proposito dei primi due anni appena trascorsi – è emersa la necessità di un impegno attivo in alcuni ambiti cruciali: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità”. In tutti questi ambiti, per la Cei, è

“necessario il contributo delle persone laiche: impegnate in prima persona nella vita professionale, civile e sociale, la loro testimonianza matura concretizza nel mondo lo stile della prossimità”.

“Un tempo funzionava il modello delle scuole sociopolitiche, che hanno accompagnato generazioni di laiche e laici impegnati”, ricorda la Cei: “occorre riflettere su quali vie sperimentare per offrire laboratori di formazione di pensieri e azioni ispirati ai valori cristiani”.

“Come camminare al fianco dei giovani?”,

una delle domande fondamentali da porsi, a partire dalla presa di coscienza del “clamoroso distacco delle giovani generazioni dal ‘sentiment’ religioso e della vita della Chiesa”. “Non basta, per entrare in sintonia, insistere su una dottrina, magari resa pop da nuovi stratagemmi mediali”, argomenta la Cei: bisogna riflettere su “quali siano le pratiche possibili per coinvolgere le nuove generazioni e per costruire con loro spazi di riflessione sui temi esistenziali e teologici”, nonché “sui modi in cui i linguaggi parlati dai giovani, con le loro forme spesso mediate tecnologicamente, possono esprimere certe fragilità, un reale desiderio di comunità, un autentico bisogno di orientamento”.

Tra le richieste più pressanti per una nuova pastorale, quella di riconoscere la “ministerialità comune dei battezzati”, anche attraverso “nuove ministerialità”.

I ministeri, ad ogni livello (ordinati, istituiti, di fatto), non sono funzioni puramente ‘intraecclesiali’, ma servizi ‘missionari’ aperti al mondo”, si fa notare nel testo, in cui si prone di “immaginare dei ministeri di ascolto, di accoglienza, di servizio caritativo, necessari soprattutto nelle metropoli dove maggiori sono le fatiche e i vuoti esistenziali”.

“E’ urgente un riconoscimento reale del senso e del ruolo delle donne all’interno della Chiesa,

già preponderante di fatto, ma spesso immerso in quella ufficiosità che non consente un vero apprezzamento della sua dignità ministeriale”, l’appello della Cei, che precisa: “Non si tratta di estendere prerogative, ma di ripensare in radice il contributo femminile in rapporto al senso stesso della ministerialità e al profilo dell’autorità nella Chiesa”.

Nelle Linee-guida, il maggiore coinvolgimento dei laici viene anche auspicato, “con deleghe specifiche e procure efficaci”, per alleggerire “il grande carico che grava sui parroci, oberati da responsabilità amministrative crescenti”. La proposta operativa è quella di

affidare ad un diacono l’amministrazione di parrocchie prive di parroco residente (diaconia pastorale),

secondo il can. 517 §2 del Codice di diritto canonico. Altre figure da valorizzare, per la Cei, quelle dell’animatore di comunità (laici, consacrati, diaconi) o di zone pastorali (tema sviluppato in vari Cantieri dell’ospitalità e della casa), già presente in alcune diocesi, anche nella modalità delle équipe o dei gruppi ministeriali. Nel testo, si auspica inoltre “una semplificazione delle certificazioni, ad esempio per i matrimoni, attualmente troppo complicata”, oltre al possibile accentramento di precise aree gestionali in capo alle diocesi. Passare da una “pastorale degli eventi” a una “pastorale della vita quotidiana”, l’indicazione concreta per “aprire una riflessione anche sulle parrocchie, sulle Unità pastorali, sugli uffici di Curia, a tutti i livelli”, in modo da “chiarire le singole competenze e migliorare le interazioni sinergiche”.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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