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Nelle favelas di Rio violenze e abusi della polizia: le vittime sono soprattutto giovani e adolescenti di colore

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Nessuna prima pagina di giornale. Nessuna mobilitazione globale, come è accaduto più volte negli Stati Uniti, per esempio per l’uccisione di George Floyd. Nessuna guerriglia urbana, se non la quotidiana lotta per vivere nelle favelas, i quartieri periferici della metropoli, come è accaduto in queste settimane in Francia, dopo l’uccisione del diciassettenne Nahel. Eppure, è Rio de Janeiro la capitale mondiale delle violenze commesse dalla polizia, e in particolare degli abusi contro giovani e adolescenti di colore. Nessun giornale o Tg, al di fuori del Brasile, ha parlato della ventitreenne Anne Caroline Nascimento Silva, 23 anni, è stata uccisa durante un blitz della polizia in una strada della Baixada Fluminense. Era in auto con il marito, gli agenti della polizia stradale hanno sparato, secondo le ricostruzioni, nonostante il marito, che era al volante, stesse accostando dopo che gli agenti lo avevano fermato.
“Tutti parlano della Francia Ma da noi è sempre così, da molti anni ormai”, dice al Sir dalla metropoli brasiliana Itamar Silva, sociologo, attivista sociale afro. Da decenni è una delle persone che più si batte per i diritti della popolazione di colore che vive nelle favelas di Rio ed egli stesso abita in uno di questi quartieri, Santa Marta. Fa parte della Rete degli osservatori sulla sicurezza e di varie altre realtà di ricerca e azione sociale

Dati eloquenti sul triste primato di Rio. Nell’ultima ricerca della Rete degli osservatori sulla sicurezza (fonte imprescindibile, poiché non esiste alcun dato elaborato da parte delle Istituzioni pubbliche) vengono presentati numeri, nel 2022, impressionanti (ma lo sono anche quelli degli anni precedenti), per la verità relativi non solo a Rio, ma anche ad altri Stati orientali e nordorientali del Brasile: Bahia, Ceará, Maranhão, Pernambuco, Piauí, San Paolo, oltre, appunto, a Rio de Janeiro. Sono stati monitorati nei sette Stati 21.563 eventi di violenza. Tra le cause, le azioni della polizia continuano a rappresentare più della metà di questi episodi. Il rapporto ha un titolo emblematico: “Máquina de moer gente preta: a responsabilidade da branquitude” (“Macchina per macinare i neri: la responsabilità della ‘bianchezza’”).
Nel periodo analizzato nel rapporto, si sono verificati 59 eventi di violenza al giorno. Ciò significa che ogni mezz’ora almeno una persona è stata colpita dalla violenza e, senza dubbio, è la popolazione nera a morire di più in Brasile oggi. Come accennato, le azioni di polizia fanno la parte del leone e costituiscono il 55% degli episodi presi in esame, una percentuale che sale al 67% a Rio de Janeiro.
In numeri assoluti, San Paolo è lo Stato con il maggior numero di azioni di polizia (3.622) e anche di denunce di abuso di agenti. Rio de Janeiro è lo stato con la più alta letalità in questi eventi, che troppo spesso si trasformano in vere e proprie mattanze, come è accaduto, lo scorso anno, nella favela di Jacarezinho, dove un’azione antidroga provocò 23 morti. Se sommiamo tutti i decessi registrati nei cinque Stati del Nordest che compongono la Rete più lo Stato di San Paolo, il totale è di 281 morti in 12 mesi. A Rio, il numero totale è di 306 morti.
Il numero riguarda solo i fatti segnalati e presi in esame contro persone di colore. Ma da parte dell’Istituto di pubblica sicurezza è stato stimato anche un dato complessivo: nel solo 2022, la polizia di Rio avrebbe ucciso 1.327 persone. Per quanto riguarda il Brasile nel suo complesso, si stima che le persone uccise dagli agenti siano seimila all’anno, contro una decina in Germania e una quarantina in Francia.

Una sentenza disattesa. “Vivo da decenni in una favela, quella di Santa Marta – spiega Itamar Silva –. La situazione attuale è conseguenza di una dinamica consolidata. Abbiamo assistito agli interventi dell’esercito dopo il 2007 e il 2018, alle azioni della polizia, spesso clamorose e plateali, con un’attitudine violenta e razzista.Dopo il 2021, queste azioni della polizia si sono intensificate, spesso hanno coinvolto i leader delle favelas. Il Supremo tribunale federale, lo scorso anno, ha emesso una sentenza chiara, chiamata “Adpf das favelas”, in cui chiede alle forze dell’ordine dei provvedimenti per limitare la violenza nei propri interventi. Chiede anche che, quando entra nelle favelas, la polizia sia accompagnata da un’ambulanza e che sia garantita assistenza medica, per curare subito eventuali feriti. Ebbene, nulla di tutto questo è accaduto, le autorità non rispettano la sentenza”.
Perché, pur in un contesto di generalizzata violenza urbana, la situazione di Rio de Janeiro non è neppure confrontabile con quella delle altre metropoli? “È vero – afferma Silva – si tratta di una situazione specifica. Ci sono delle motivazioni storiche, la polizia qui ha sempre avuto un approccio di questo tipo, è sempre stata considerata la più violenta del Paese. Al tempo stesso, esiste un chiaro indirizzo politico da parte dell’attuale governatore, Claudio Castro, che è vicino all’ex presidente Jair Bolsonaro e porta avanti il suo indirizzo politico. Non c’è alcun tentativo di controllare gli eccessi e gli abusi”. Non c’è, insomma, nessuna volontà politica di moderare quella che è in tutta evidenza un’antica propensione delle forze di polizia carioca, basti pensare che “in questo momento nello Stato di Rio non c’è neppure una segreteria per la pubblica sicurezza”. E mancano dati ufficiali su tali questioni.

Giovani di colore le prime vittime. Naturalmente, gli agenti intervengono in contesti che di per se stessi sono violenti e difficili, caratterizzati dalla presenza di bande criminali, narcotrafficanti, milizie paramilitari. “A farne le spese sono, quasi sempre, persone di colore e giovani, ma è in aumento anche il numero di minori che vengono uccisi, coinvolti negli scontri tra polizia, milizie private, narcotrafficanti. Spesso, polizia ufficiale e milizie private si contendono il controllo del territorio”. I dati dimostrano, tra l’altro, che lo scontro come politica di sicurezza pubblica è un modello fallimentare. La principale giustificazione portata avanti dalla polizia e dal governatore è la guerra alla droga. In realtà, non si registrano solitamente sequestri di sostanze stupefacenti, e la criminalità aumenta, mentre a farne le spese sono le persone di colore e i poveri.
La società civile, conclude Itamar Silva, riesce a fare relativamente poco: “Solamente, riusciamo a dare voce alle denunce continue che provengono dalle favelas. Il problema è quello di avere una politica che controlli ciò che fanno le forze dell’ordine. La vittoria più importante delle azioni di protesta da parte della cittadinanza è stata la sentenza del Tribunale supremo federale. E speriamo che proprio dal livello federale della nostra Repubblica, dopo il ritorno del presidente Lula e la sconfitta di Bolsonaro, possa arrivare qualche risposta”. Finora, però, ciò non è accaduto.

 

(*) giornalista de “La vita del popolo”

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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