Come si applica il vero “garantismo” a questi scandali Articolo di Giovanni Valentini
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Come si applica il vero “garantismo” a questi scandali
15 LUGLIO 2023
“La giustizia non è né dei magistrati né degli avvocati; né di destra né di sinistra, anche se spesso, magistrati e avvocati, destra e sinistra, propongono ricette profondamente diverse”
(da In attesa di giustizia di Carlo Nordio e Giuliano Pisapia – Guerini e associati, 2010 – pag. 163)
In cinquant’anni e passa di mestiere, ho cominciato a essere garantista all’epoca del “caso Valpreda”, il ballerino anarchico accusato della strage di piazza Fontana a Milano nel 1969 e poi riconosciuto innocente. Ho continuato a esserlo sul “caso Tortora”, il popolare presentatore televisivo condannato per traffico di droga, messo in carcere e infine assolto. E poi, sul “caso Marta Russo”, la studentessa uccisa da un colpo di pistola all’Università Sapienza di Roma, il 9 maggio 1997, un delitto derubricato da omicidio volontario a colposo. Lo sono tuttora, garantista, anche sul caso di Ciro Grillo e su quello di Leonardo Apache La Russa, accusati entrambi di violenza e stupro.
Il garantismo è, per così dire, l’altra faccia del giustizialismo. Il primo tende a garantire all’imputato le condizioni per essere giudicato in modo equo e corretto. Il secondo punta, altrettanto legittimamente, ad accertare e punire le responsabilità di chi commette un reato. Dovrebbero combaciare e invece sono all’origine della guerra infinita tra politica e magistratura che infuria in Italia da oltre trent’anni. E i casi più recenti della ministra del Turismo Daniela Santanchè, del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e di La Russa jr. l’hanno ora rinfocolata.
È dalla fatidica “discesa in campo” di Silvio Berlusconi che si parla, più a torto che a ragione, di “giustizia a orologeria”. Cioè, di una macchina giudiziaria che si mette in moto al momento opportuno per colpire il potente di turno. Ma spesso così non è e si può dimostrarlo calendario alla mano. Fa specie però che la “nuova” destra meloniana, erede di quella “dura e pura”, si appiattisca su una linea vetero-berlusconiana.
Quando il governo diffonde una nota – attribuita a “fonti di Palazzo Chigi” – per “domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione”, dopo la fuga di notizie sull’avviso di garanzia per la ministra Santanchè e la decisione del Gip di disporre l’imputazione coatta per il sottosegretario Delmastro, c’è da chiedersi chi voglia alimentarla questa guerra: la politica o la magistratura E quando il presidente del Senato, seconda autorità dello Stato, interviene nell’indagine in corso su suo figlio per annunciare che l’ha interrogato e per dichiararlo innocente, è evidente che si tratta di un’interferenza che vìola la divisione dei poteri teorizzata fin dai tempi di Montesquieu: ove mai La Russa jr. fosse giudicato colpevole, La Russa senior dovrebbe dimettersi per manifesta incompetenza.
Proviamo, allora, a promuovere un armistizio in difesa del cittadino più che dei politici. Partiamo dalla presunzione d’innocenza, in forza della quale nessuno può essere considerato colpevole fino a sentenza definitiva. Manteniamo fermo il principio in dubio pro reo, per cui nel dubbio il giudice assolve. E custodiamo il dogma del garantismo: meglio un colpevole libero che un innocente in galera.
Questi sono i confini entro i quali va riportato il conflitto tra politica e magistratura. Qualsiasi riforma della giustizia, introdotta dalla destra o dalla sinistra, deve assicurare innanzitutto l’effettiva parità delle parti e la terzietà del giudice. Poi, eventualmente, si potrà anche discutere sulla separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti, a condizione di garantire l’autonomia e l’indipendenza del sistema giudiziario dall’esecutivo: gioverà alla sua autorevolezza e credibilità.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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